Gli aiuti umanitari sono al centro del braccio di ferro tra il leader dell'opposizione venezuelana, Juan Guaidó, e il presidente, Nicolas Maduro. Il primo ha annunciato ieri che gli aiuti sarebbero entrati il 23 febbraio prossimo. Il capo di Stato, che già nei giorni scorsi aveva fatto bloccare le strade, ha insistito sulla contrarietà.
Gli aiuti degli Stati Uniti si sono accumulati in Colombia al confine con il Venezuela, ma fino ad ora il passaggio di confine del ponte tra Colombia e Venezuela era rimasto barricato dai militari. Guaidó, che si è autoproclamato presidente a interim il mese scorso, ha chiamato decine di migliaia di sostenitori dell'opposizione a una manifestazione nel weekend per fare pressione sui militari e consentire l'ingresso dei prodotti nel paese. Ha chiesto alle 250 mila persone che si sono già registrate come volontari di organizzarsi durante il fine settimana, "perché dovremo andare in roulotte". "Ci sono quasi 300 mila venezuelani che moriranno se gli aiuti non arrivano, ci sono quasi due milioni con la salute a rischio", ha sottolineato Guaidó.
Maduro ha negato invece che vi sia una crisi umanitaria e ha bollato l'intera faccenda come uno "spettacolo politico" e un pretesto per un'invasione guidata dagli Stati Uniti. "È sicuro che gli aiuti umanitari entreranno in Venezuela perché l'usurpatore non avrà altra scelta che lasciare il Venezuela", ha tuonato Guaido', riferendosi a Maduro. "Non è la prima volta che il Venezuela verrà liberato da un tiranno, non è la prima ma speriamo che sarà l'ultima", ha aggiunto il presidente dell'Assemblea nazionale.
I venezuelani hanno dovuto affrontare la penuria di beni di prima necessità come cibo e medicine mentre l'economia andava in crisi sotto la guida di Maduro. Secondo le Nazioni unite, circa 2,3 milioni di abitanti sono fuggiti dal Paese dal 2015. Quelli rimasti aggrappati alla terra natia hanno dovuto affrontare il collasso dei servizi pubblici e l'iperinflazione che ha ridotto in cartastraccia salari e risparmi.