Il Venezuela "sta vivendo un momento magico con la possibilità unica di potersi lasciare il caos alle spalle". Così, in un'intervista al Guardian, il leader dell'opposizione, Juan Guaidó, interpreta la sua "rivoluzione pacifica". Il capo del Parlamento, che si è autoproclamato presidente a interim, si è detto pronto "a finire il lavoro" per costringere Nicolas Maduro a lasciare il potere e porre fine a un'emergenza umanitaria che ha alimentato il più grande esodo nella storia moderna dell'America Latina. Guaidó ha spiegato inoltre che "una combinazione di sostegno internazionale, unità di opposizione e un rinvigorito sostegno della base si è tradotto per il Venezuela in una possibilità di uscire dal caos".
"La frustrazione si è trasformata in speranza. La gente ha il coraggio di sognare di nuovo, ci siamo risvegliati da un incubo per avere nuovi sogni, per sognare il futuro, il nostro Paese, non ciò che eravamo, ma ciò che possiamo diventare", ha esortato il politico 35enne, che ha chiamato di nuovo il suo popolo in piazza mercoledì e sabato, il giorno in cui scade l'ultimatum lanciato dall'Europa a Maduro perché convochi nuove elezioni. In caso contrario, Parigi, Berlino, Madrid e Londra (e, probabilmente, anche la stessa Unione Europea) riconosceranno Guaidó come legittimo presidente, seguendo Washington. Un ultimatum che, in un'intervista alla Cnn turca, il presidente venezuelano ha bollato come "insolente".
Sostenitori scomodi
Il Guardian ha qualcosa da obiettare sui principali sponsor del nuovo leader della rivoluzione venezuelana: "Il suo maggiore sostenitore internazionale è Donald Trump che venerdì ha nominato un neoconservatore, noto per aver contribuito a organizzare il finanziamento occulto dei ribelli Contras in Nicaragua, come suo inviato speciale in Venezuela. Un altro importante sostenitore regionale è il presidente di estrema destra del Brasile, Jair Bolsonaro, noto per la sua ostilità ai diritti umani e per la sua passione per la dittatura".
Secondo l'analista Miguel Tinker Salas, firmatario di una lettera aperta che accusa gli Usa di essere dietro l'iniziativa di Guaidó, è "incredibile" vedere Trump e Bolsonaro dipingersi come "portabandiera della democrazia in Venezuela". La pensa diversamente Guaidó, che, quando Bolsonaro fu eletto presidente, ne lodò "l'impegno per la democrazia e i diritti umani".
Maduro mostra i muscoli (su Twitter)
Come insegna la convulsa storia del Sudamerica, in questi casi ad avere l'ultima parola è però l'esercito, che appare schierato compatto con Maduro, il quale nelle ultime 24 ore ha pubblicato su Twitter una serie di filmati che lo vedono rivolgersi alle truppe o partecipare alle esercitazioni militari organizzate per il bicentenario del Congresso di Angostura, la costituente convocata dal padre della patria Simon Bolivar durante le guerre di indipendenza contro la Spagna. Il messaggio è eloquente.
Il ministro della Difesa di Caracas ha definito "un piano criminale" quello di Guaidó, il quale ha ammesso di non avere il cruciale appoggio delle forze armate ma ha sostenuto che tra le loro fila stanno "emergendo" i dissidenti, per quanto, ha spiegato al Guardian, "dobbiamo ancora consolidare questi progressi per poter essere davvero in grado di avviare il processo che ci porti a un governo di transizione e, infine, a nuove elezioni".
Qualora l'esercito si spacchi sul serio, il Venezuela scivolerebbe però in una guerra civile, con diverse fazioni l'una contro l'altra, appoggiate da Paesi stranieri e con il coinvolgimento di narcotrafficanti e signori della guerra. Uno scenario, insomma, molto vicino a quello siriano. "Non credo raggiungeremo quel punto", prova a rassicurare Guaidó, "l'idea è aumentare la pressione".