Il lungo addio della Germania al carbone si è concluso dieci giorni fa, nell’ultima miniera della Ruhr, quella di Prosper-Haniel. Non a caso, la cerimonia di chiusura dell’ultima cava di “oro nero” non è stata una semplice formalità: è la parola fine ad una storia che come poche altre ha marchiato a fuoco non solo questo pezzo di Renania occidentale, ma 200 anni di storia industriale tedesca. C’erano il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier, il ministro dell’economia Peter Altmaier, il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e il governatore del Nord-Reno Vestfalia Armin Laschet, il tutto preceduto la sera prima da grande messa ecumenica nel Duomo di Essen.
Gli esperti hanno calcolato che dall’origine delle attività estrattive ad oggi siano state tirate fuori dalla Ruhr circa 8,5 miliardi di tonnellate di carbone. E tutt’ora questo Land centro-occidentale poggia su 440 miliardi di tonnellate: ce ne sarebbe fino alla fine dei tempi, se la Repubblica federale non avesse deciso, nel 2007, insieme ai governi del Nord-Reno Vestfalia e del Saarland, di mettere fine all’estrazione del carbon fossile. Quella di Prosper-Haniel, a Bottrop nella Ruhr settentrionale, era l’ultima miniera ancora aperta.
Il cuore dell'industria tedesca
Undici anni fa qui lavoravano circa 33 mila minatori, quelli al lavoro pochi giorni prima di Natale erano 3500. Nel 1958, quando la lenta crisi del carbone tedesco ebbe inizio – gli alti standard di sicurezza e la profondità degli scavi rendevano decisamente più concorrenziale quello di altri Paesi - qui venivano estratti 123 milioni di tonnellate, nel 2014 erano “soltanto” 5,7 milioni. Qui batteva il cuore dell’industria tedesca, tra le gigantesche miniere, ma anche le infinite acciaierie e il fumo degli altiforni, il tutto oggi riconvertito in musei, cultura, energie alternative. Tra le varie, le miniere Zeche Zollverein sono state nominate patrimonio dell’Unesco, come a dire che la Ruhr resterà sempre una parte imprescindibile dell’identità della Germania, anche se dal punto di vista economico il carbone tedesco da anni non è più competitivo.
Le sovvenzioni statali al comparto sono arrivate fino ad un miliardo di euro l’anno, per appianare le differenze di prezzo sul mercato globale. Dal 1996 ad oggi il governo federale e quello del Land hanno speso fino a 61 miliardi per accompagnare le dismissioni.
La chiusura dell’ultima miniera tedesca non significa ancora la fine dell’utilizzo del carbone in Germania, ma cresce ogni giorno il numero delle persone che chiedono una completa riconversione. Berlino ha fatto sapere pochi mesi fa che la Germania non riuscirà a ridurre entro il 2020, come promesso, le emissioni di Co2 del 40% e che riuscirà a conquistarsi l’indipendenza definitiva dal carbone non prima del 2038. Oggi la cosiddetta energia pulita sta progressivamente prendendo il posto di quella prodotta da combustibili fossili, ma circa un quarto dell’energia viene ancora prodotta dalla combustione del carbone e della lignite.
Cosa succede ora
Tuttavia non si è parlato di questo, dieci giorni fa a Bottrop. Per la cerimonia d’addio all’impianto minerario Prosper-Haniel, i minatori - i “Kumpel”, come li chiamano in Germania - hanno messo l’ultimissimo pezzo di carbone estratto nelle mani di un commosso Steinmeier. Dopodiché tutti insieme hanno intonato lo “Stegerlied”, l’inno dei minatori della Ruhr, con l’accompagnamento del coro locale. “È un grande capitolo della storia industriale tedesca che volge al termine” ha detto il governatore Laschet. Una vicenda che qui ha significato centinaia di migliaia di posti di lavoro e un’immensa produzione energetica, ma anche, per molti lustri, molto veleni ingoiati nei polmoni di tanti lavoratori.
“Sì, il carbone è stato il motore della ricostruzione della Germania”, ha voluto sottolineare il presidente Steinmeier. Una ricostruzione che è stata marchiata a fuoco, questo va detto, anche da generazione e generazioni di immigrati: in queste miniere hanno lavorato decine di migliaia di persone originarie da decine di altri Paesi, compresi, dal dopoguerra ad oggi, i tantissimi italiani venuti qui a cercare il proprio destino, ma anche ovviamente i turchi, i greci e, tornando indietro a ritroso, i primi arrivi degli operai polacchi nell’Ottocento.
Quel che rimane oggi sono alcuni musei dedicati a quello che qui chiamano “l’oro nero”, una delle “zone verdi” più avanzate d’Europa, ma anche un’infinità di souvenir: saponette dall’aspetto di formelle di carbone, tazze da caffè e magliette con immagini di minatori. Eppure il ricordo più caro di coloro che fino a pochi giorni fa scendevano tutti i giorni per oltre mille metri nelle viscere della terra della Ruhr sono dei piccoli pezzi di carbone da tenere come una preziosa reliquia nelle proprie case: “È un pezzo della nostra vita che rimane con noi”.