Una donna, europeista convinta, al vertice dell’ultimo grande partito di popolo nel Vecchio Continente. È ufficialmente iniziato il dopo-Merkel. E, per quanto possa sembrare paradossale, è iniziato nel segno di Angela Merkel. La sfida per conquistare la leadership della Cdu dopo 18 anni di regno dell’ex “ragazza dell’est” è stata vinta da Annegret Kramp-Karrenbauer, attuale segretaria generale del partito che fu di Adenauer e di Kohl ed ex governatrice della Saar, che ha battuto l’ex lobbista milionario Friedrich Merz al termine di una competizione tesa ed aperta fino all’ultimo minuto.
Al ballottaggio, resosi necessario perché nessuno dei tre contendenti – Kramp-Karrenbauer, Merz e il “giovane” Jens Spahn - aveva superato al primo turno il 50% dei voti, “AKK” – come viene chiamata – è riuscita a ottenere 517 voti contro i 482 del suo antagonista. Un pugno di voti, ma una conclusione all’insegna del fair play: “Ringrazio gli altri due candidati per la correttezza della competizione, a loro chiedo di partecipare al rinnovamento del partito”, ha detto la vincitrice tra gli applausi.
Insieme a Merz, ha perso anche Schaeuble
Merz, pur facendo tutti gli auguri del caso ad AKK, non sembra averla presa troppo bene: infatti ha deciso di non candidarsi per il presidio del partito, anche se ha chiesto “a tutti quelli che mi hanno votato di sostenere adesso, con forza e convinzione, Kramp-Karrenbauer”. Il terzo contendente, Jens Spahn, si era fermato a 175 voti, ma ha fatto capire che vuole contribuire al rinnovamento del partito: “Noi tre, io, AKK e Merz, siamo come una rock band: per questa campagna abbiamo girato il paese in lungo e largo, abbiamo imparato a conoscerci veramente bene”. A giudicare dai sorrisi e dai buoni propositi, la “spaccatura” dei cristiano-democratici profetizzata nei giorni scorsi da diversi osservatori sembra veramente lontana. E la corsa per a cancelleria probabilmente è solo rimandata: ed è assai probabile, a questo punto, che la prossima candidata cancelliera della Cdu si chiamerà Kramp-Karrenbauer.
D’altronde, c’è anche chi, tra i delegati, legge la vittoria di AKK come una sconfitta di Wolfgang Schaeuble, che tre giorni fa aveva apertamente dichiarato il suo endorsement a favore del conservatore Merz: un chiaro sgarbo a Merkel, nel cui governo ha militato a lungo come temutissimo ministro delle Finanze, ma anche una sorta di vendetta, perché nel 2000 era stato lui a soccombere, in seguito allo scandalo dei fondi neri. Che travolse la Cdu, proiettando però alla sua guida l’allora segretaria generale Angela Merkel. Sarà un caso, ma è proprio Schaeuble – pur seduto come gli altri al tavolo della presidenza - il grande “assente” di questo congresso.
Un "appuntamento del destino"
In molti hanno descritto questo di Amburgo come un “appuntamento del destino”. Per la Cdu, che ha alle spalle una serie di batoste elettorali – stretta tra la crescita dell’ultradestra dell’Afd e il boom dei “nuovi” e accattivanti Verdi – per Angela Merkel, che con l’elezione di AKK alla guida del partito riesce nell’intento di essere lei stessa a gestire quello che è stato definito “il suo lungo addio”: sono passati 18 anni da quando è diventata presidente della Cdu e 13 anni da quando è alla guida del governo. I giornali tedeschi si sbizzarriscono nel fare il conto di quanti pontefici, quanti presidenti Usa e quanti leader della Spd siano passati da quando lei è cancelliera. E lei stessa, nel suo lungo e intenso discorso d’addio dalla segreteria della Cdu, lo ha voluto rimarcare: “Io resto cancelliera”. Fino al 2021, ossia fino a fine mandato.
Così, mentre AKK - che normalmente viene assegnata all’area più “liberal” del partito - nel suo discorso prima del voto ha ribadito il suo impegno affinché “la Cdu rimanga un grande partito popolare” cercando al tempo stesso di far capire che è decisamente sottovalutata da chi la considera una “mini-Merkel”, e mentre Merz ha chiesto “una nuova strategia” e Spahn vede un futuro per il partito solo se si aprirà di più ai giovani, Merkel ha voluto ricordare tutti questi ultimi 18 anni, “con i suoi alti e i suoi bassi”. Ha citato lo scandalo dei fondi neri, la crisi dei migranti – per la quale difende con passione la sua decisione di “aprire le porte” a quasi un milione di profughi, nel 2015 – ha difeso la sua politica volta “a non escludere nessuno”. Perché, come ha ribadito tra gli applausi, “politica è anche vedere il mondo con gli occhi degli altri”.
È questo il suo famoso “centro malleabile”, un messaggio che consegna con determinazione alla Cdu, alla Germania, ma anche all’Europa: “In una società sempre più polarizzata, dobbiamo riuscire a unire i più giovani e i più anziani, l’Est e l’Ovest, i più forti e i più deboli, chi è nato qui e anche i migranti”. Poi ribadisce scandendo le parole: “Noi non spingiamo all’odio o al disprezzo di altre persone. Per noi non ci esistono differenze sulla dignità delle persone”. E’ un chiaro riferimento all’ultradestra dell’Afd, ma anche ai tanti sovranisti e populisti che stanno crescendo in Europa. Alla fine, è una standing ovation senza fine e lei, cosa rara, si mostra visibilmente commossa. A stento trattiene le lacrime. Perché, anche se tutto procede secondo le sue regole del gioco – e come lo sa lei, lo sanno i 1001 delegati Cdu venuti alla Fiera di Amburgo – oggi il suo lungo addio è ufficialmente iniziato.