Nella proverbiale analisi della sconfitta che coinvolse il Partito Democratico Usa dopo la vittoria di Donald Trump, la conclusione più o meno unanime fu che Hillary Clinton fosse stata decisamente il candidato sbagliato. Troppo vicina alle cosiddette "élite", secondo l'abile impalcatura propagandistica di Steve Bannon, che riuscì con successo a contrapporle un ricco immobiliarista di New York nell'incongruo ruolo di "uomo del popolo". Un giochino che non sarebbe mai riuscito se a correre fosse stato Bernie Sanders. Era stato freddo e poco convinto l'appoggio di Barack Obama, che non la amava e aveva avuto le sue ragioni per sostituirla nel ruolo di Segretario di Stato. Così come non aveva pagato il ruolo di ex first lady. Per quanto Bill Clinton fosse popolare, gli elettori - in tempi di rivolta populista globale - non avevano apprezzato la sensazione di avere a che fare, dopo i Kennedy e i Bush, con l'avvento di una nuova dinastia.
Eppure, mentre - dopo le elezioni di metà mandato - i sostenitori del partito dell'asinello sono ammaliati da astri nascenti come Beto O' Rourke e Alexandria Ocasio-Cortez, Clinton sembrerebbe intenzionata a riprovarci, con una brusca sterzata a sinistra che intercetti l'aria nuova che spira nell'elettorato blu. È quanto sostiene un articolo del Wall Street Journal che sa di mossa per tastare il terreno. A firmarlo infatti è Mark Penn, storico consigliere dei Clinton, per i quali lavorò dal 1995 al 2008.
La chiusura di un cerchio
Assumendo posizioni meno moderate di quelle assunte durante la campagna per le presidenziali, leggiamo sul quotidiano finanziario, Hillary "chiuderà un cerchio", tornando all'agenda progressista del 1994, quando fu nominata dal marito capo dell'unità sulla Riforma della Sanità Nazionale e cercò, senza riuscirci, di garantire una copertura universale ai cittadini. Sei anni dopo l'allora first lady sarebbe stata eletta al Senato per lo Stato di New York con una piattaforma completamente diversa. Sì alla pena di morte, al rigore di bilancio e ai valori religiosi. Quanto all'approccio in politica estera, era quello di un neo-con: strenua difesa di Israele, voto favorevole alle guerre in Afghanistan e Iraq, muso duro nei confronti dell'Iran. Quasi l'esatto contrario di quella che sarebbe stata la linea di Barack Obama, il quale, nondimeno, per il suo primo mandato volle a capo della diplomazia la donna che aveva sconfitto alle primarie, forse per mantenere il partito compatto.
La trappola di Bannon
La terza incarnazione di Hillary sarebbe stata quella delle primarie del 2016. I panni centristi vengono smessi per indossare vesti decisamente liberal. La sua missione è quella di diventare la prima presidente donna. La campagna è giocata sui diritti delle minoranze, trascurando forse un po' le preoccupazioni dei colletti blu della 'rust belt', lasciando praterie a Trump, che si fa portavoce di quella classe media bianca arrabbiata che lei a un comizio avrebbe definito "deplorevole". Così facendo, Clinton cadde nella trappola architettata da Bannon, che sulla questione delle identità rispose colpo su colpo, sventolando il meme del progressista agiato che si preoccuperebbe troppo dei matrimoni gay e non abbastanza dei poveri. Un errore che è stato commesso da buona parte della sinistra occidentale e che ha spianato un po' ovunque la strada alla destra sovranista. Un errore, nondimeno, tutt'altro che inevitabile. Obama, il primo presidente nero, si era sempre guardato dal sollevare la questione razziale e aveva spesso stigmatizzato quella cultura da "sinistra regressiva" che sarebbe diventata presto uno stereotipo a uso e consumo della demagogia di destra. E Sanders, con le sue proposte economiche di stampo socialista e i suoi attacchi a Wall Street, non avrebbe certo gettato gli operai del Midwest tra le braccia di Trump.
Una missione da concludere?
Non c'è quindi bisogno di evocare complotti russi per spiegare una "umiliante sconfitta contro un dilettante", come la definisce il Wall Street Journal. Una sconfitta che, prosegue il quotidiano, Clinton non intende "lasciar segnare la fine della sua carriera", per quanto in pubblico dichiari il contrario. "Ci si può aspettare che corra di nuovo per la presidenza", leggiamo, "forse non subito, quando legioni di senatori democratici faranno i loro annunci, ma quando le primarie saranno entrate nel vivo". I toni qua si fanno apologetici: "Clinton ha un tasso di sostegno del 75% tra i Democratici e una missione da concludere per diventare il primo presidente donna e un rancore personale nei confronti di Trump, i cui sostenitori la misero alla gogna intonando 'Rinchiudetela!' e ciò va vendicato. Quei frequentatori dei caucus dell'Iowa che non si sono mai riscaldati per lei ora la vedranno forte, di parte, di sinistra e Democratica in tutto e per tutto, sarà quella con il fegato, l'esperienza e la determinazione d'acciaio per sconfiggere Trump. Ha avuto due anni per riflettere sui suoi errori e su come contrastarlo di nuovo".
Come sarà la nuova campagna
La conclusione dell'articolo descrive quale sarà la sua nuova strategia con dettagli tali da lasciar intuire che sia già stata elaborata, magari dallo stesso Penn: "Clinton stavolta non viaggerà per il Paese in un van insieme a Huma Abedin, dedicandosi a eventi ristretti e alla politica spicciola. Entrerà invece dalla porta principale, mobilitando l'esercito di professioniste dietro di lei, facendo leva sui suoi social network e sulla sua posizione di forza nelle donazioni. Spera di emergere come una forza inarrestabile per far fuori Trump, cavalcando il movimento #MeToo, la sanità universale e il controllo delle armi da fuoco. Fiera e indipendente, metterà agli angoli Bill e Obama, limitando il loro ruolo alla raccolta dei fondi. La generazione di Democratici che stava attendendo di prendere il controllo del partito dai Clinton schiumerà di rabbia a vederla tornare e rubare loro lo show. Si sono rivelati come dilettanti pasticcioni nella lotta per la nomina di Kavanaugh. Li stroncherà. Così come Trump fece piazza pulita, Clinton butterà giù gli astri nascenti dei Democratici come birilli. Mike Bloomberg la sosterrà piuttosto che correre contro di lei e Joe Biden non sarà mai in grado di resisterle". Joe Biden forse no. Ma la nuova, energica generazione blu venuta fuori dal voto di mid-term appare determinata a tutto fuorché a "cascare come birilli" di fronte alla persona che riuscì a perdere contro uno dei candidati più improbabili della storia del Partito Repubblicano.