Articolo aggiornato alle ore 7,15 del 7 novembre 2018.
Non c'è stata l'onda blu dei democratici nelle elezioni di mid-term in Usa. Ma i 'liberal' dopo otto anni hanno riconquistato il controllo della Camera. Il Senato invece è rimasto ai repubblicani. Questo il quadro, secondo le proiezioni dei principali network americani.
Nelle elezioni di metà mandato in Usa, i Democratici hanno strappato la maggioranza della Camera dei rappresentanti dagli Stati Uniti ai repubblicani. Si sono appena chiusi i seggi elettorali sulla costa occidentale, ma le proiezione danno che i democratici hanno vinto nella Camera bassa, conquistando i 23 seggi almeno di cui avevano bisogno per spodestare i conservatori: nonostante ancora manchi il conteggio complessivo, i democratici hanno già strappato almeno una decina di seggi della Camera dei rappresentanti ai repubblicani, probabilmente ne aggiungeranno almeno altri dieci e potrebbero, almeno secondo le proiezioni della Cnn, addirittura strappare 35 deputati al Gop.
Cosa dicono le urne
Anche se il partito del presidente ha storicamente sempre 'sofferto' nelle elezioni meta' mandato - era successo anche ai democratici di Barack Obama nel 2010 - i risultati potrebbe rimodellare il panorama politico per anni, anche in vista della campagna presidenziale 2020. L'elezione ha messo a nudo le difficoltà dei repubblicani in alcuni distretti in Florida, Denver e Virginia. In Virginia, l'attuale membro del Congresso del partito repubblicano Barbara Comstock ha perso il seggio nella Camera dei rappresentanti per il decimo distretto dello Stato cedendolo alla democratico Jennifer Wexton.
La 'corsa', in un quartiere periferico del nord della Virginia dove Hillary Clinton aveva vinto per 10 punti percentuali nel 2016, era considerata cruciale per le speranze repubblicane di mantenere il controllo della Camera. In Florida, la democratica Donna Shalala si è accaparrata il 27esimo distretto, che era in mano alla repubblicana Ileana Ros-Lehtinen dal 1989, che si è ritirata quest'anno; e la progressista Debbie Mucarsel-Powell ha sconfitto il conservatore Carlos Curbelo nel 26esimo distretto.
I repubblicani avevano fino ad oggi un vantaggio di 235 seggi a 193 nella Camera bassa, con sette seggi vacanti. Ora i democratici puntano ad avere risultati simili alle elezioni di midterm del 2006, quando conquistarono 31 seggi che erano in mano al partito repubblicano sull'onda del malcontento popolare per il presidente George W. Bush e la guerra in Iraq.
"Eccezionale successo stanotte. Grazie a tutti!", ha twittato il presidente Trump.
I Repubblicani difendono il Senato
Manca ancora la chiusura dei seggi sulla costa occidentale del Paese, ma il Grand Old Party è riuscito a strappare ai democratici almeno due seggi, i senatori dell'Indiana e de Nord Dakota; il che indica che potrebbero aumentare la maggioranza risicata detenuta finora (51 a 49) al Senato. Il presidente Donald Trump, sembra soddisfatto: "è stata una buona notte", ha commentato la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders.
Il partito dell'Asinello non è riuscito a vincere la scommessa in Texas dove il democratico Beto Rourke è stato sconfitto dal repubblicano Ted Cruz nella corsa per il Senato. Gli unici sostanziali trionfi al momento per i democratici sono le due prime donne musulmane elette al Congresso, Ilhan Omar e Rashida Tlaib, rispettivamente in Minnesota e Michigan; e la nuova star del Partito democratico, Alexandria Ocasio-Cortez, che ha vinto nel collegio elettorale 14 di New York ed è stata eletta deputata ad appena 29 anni, la più giovane al Congresso americano.
Andrew Cuomo è stato riconfermato governatore dello Stato di New York, sconfitto lo sfidante repubblicano Marc Molinaro: per lui sarà il terzo mandato, alla pari del padre Mario Cuomo, anche lui a capo dello Stato per tre legislature.
E nel suo appassionato discorso della vittoria, Cuomo è sembrato echeggiare la possibilità che si possa candidare per le presidenziali del 2020. Scontata invece la vittoria del repubblicano Greg Abbott, 60 anni, grande sostenitore del presidente Donald Trump, rieletto governatore del Texas: si è aggiudicato senza problemi il suo secondo mandato alla guida dello Stato della stella solitaria battendo lo sfidante democratico Lupe Valdez, sceriffo della contea di Dallas.
Una prima lettura del voto
Il miglior segnale per i democratici americani era giunto non tanto dai sondaggi, quanto piuttosto dalla quantità di denaro affluito nelle casse dei loro candidati sotto forma di donazioni private. Soldi provenienti per lo più dal ceto medio. I repubblicani non sono riusciti a raccogliere nemmeno la metà dei loro fondi. Segno della stanchezza di un Paese verso una politica urlata, che ha in Trump il suo principale interprete. Se queste elezioni sono state un referendum sul Presidente, questi esce non bene dalla sfida (la vittoria dei Repubblicani al Senato era ampiamente prevista), vittima forse delle stesse armi che lo hanno sospinto fino allo Studio Ovale esattamente due anni fa.
Il valzer dell’anatra zoppa
Il presidente Donald Trump è dunque "un'anatra zoppa" dopo l'elezione di medio termine. Una spaccatura destinata ad incidere sull'agenda politica dei prossimi due anni, con tutti i riflettori già puntati sulle presidenziali del 2020. Trump non potrà lasciarsi alle spalle l'indagine sul Russiagate, ovvero sulle interferenze di Mosca e sulle possibili collusioni tra la sua campagna e il Cremlino nel 2016. Il deputato democratico Adam Schiff, in pole position per guidare la commissione Intelligence della Camera, ha già promesso di rilanciare l'inchiesta sui legami tra il miliardario e la Russia.
Le misure del presidente rischiano di naufragare alla Camera. L'Obamacare potrebbe essere salva e i finanziamenti per il muro al confine con il Messico venire meno. Anche i Dreamers, i giovani migranti portati negli Usa da piccoli da genitori clandestini dovrebbero venire tutelati così come non è da escludere una proposta di stretta sulle armi. Le sirene dell'impeachment potrebbero tornare a suonare. La messa in stato di accusa del presidente è proprio una prerogativa della Camera.
Spetta tuttavia solo al Senato approvare le nomine, come quelle cruciali dei giudici della Corte Suprema. Prima di tutto pero' i democratici dovranno decidere chi sarà il loro leader. L'italo-americana Nancy Pelosi aveva fatto storia nel 2007 diventando la prima Speaker donna della Camera e sembra ansiosa di tornare al timone ma in seno al parito dell'Asinello c'è chi preme per un cambio generazionale.
Anche nella migliore delle ipotesi per i repubblicani, saranno i democratici da questo momento a dettare i termini dell’agenda politica, costringendo gli avversari e lo stesso inquilino della Casa Bianca a spostarsi verso il centro dello scacchiere politico. È questo il destino che toccò a Ronald Reagan dopo le elezioni di metà mandato del 1982 (addio alla Rivoluzione Conservatrice promessa nel 1980) come a Bill Clinton nel 1994 (fu l’addio al suo progetto di riforma sanitaria e l’inizio di uno spostamento sui contenuti dell’agenda politica conservatrice).
Ma attenzione: in entrambi i casi i presidenti usciti con le ossa peste dalle urne di metà mandato finirono rieletti a furor di popolo due anni più tardi. Segno che il futuro è di chi sa leggere cosa c’è davvero scritto nelle schede elettorali.
Riformisti 1, Progressisti 0
Non deve essere sottovalutato poi un altro aspetto di questo risultato: all’interno dei democratici il primo test match tra sinistra e centristi lo vincono questi ultimi. Dopo la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016 l’ala più progressista (a cominciare dalla materia sociale) del partito è andata rafforzandosi, sulla spinta dell’affermazione politica di Bernie Sanders. In più di un’occasione la conta all’interno del partito è finita in parità o quasi. Oggi i centristi segnano un punto a loro favore: se avessero vinto i repubblicani alla Camera per loro ci sarebbe stata la pensione anticipata. Oggi invece respirano. Basterà per sopravvivere? Chissà. Ma in politica prima si vive, poi si filosofeggia.