Domenica circa 174 mila elettori iscritti su una lista speciale andranno alle urne in Nuova Caledonia per un referendum sull’indipendenza dell’arcipelago dell’Oceano Pacifico dalla Francia. Per l’Onu l’arcipelago conquistato dai francesi 175 anni fa è uno dei 17 territori ancora colonizzati al livello mondiale, l’ultimo per la Francia. Lo scorso maggio con un referendum l’86% degli elettori ha respinto l’indipendenza della Polinesia, altra colonia francese, rimasta ancorata alla Francia.
Molto più travagliati i rapporti tra Parigi e Nuova Caledonia, territorio in assoluto più lontano dalla metropoli, distante 17 mila km. In base agli ultimi sondaggi è molto remota la vittoria del ‘sì’ al referendum per l’autodeterminazione. Numeri alla mano i Kanak (canachi), storici abitanti dell’isola in lotta per l’indipendenza, sono numericamente inferiori ai Caldoches (caldachi), discendenti dei coloni bianchi, e alle altre popolazioni che si sono progressivamente istallate sull'arcipelago.
Il precedente referendum era stato bocciato
Un precedente referendum, tenuto nel 1987, era stato boicottato dai canachi, quindi ritenuto non valido; il 98% dei votanti si era allora espresso contro l’indipendenza. Sulla carta il voto di domenica segna il punto di arrivo del processo di decolonizzazione dell’arcipelago, previsto dall’accordo di Noumea firmato nel 1998, dopo anni di insurrezione, con scontri, barricate, omicidi e rapimenti.
Chi sono le parti in causa
Negli anni ’80 l’arcipelago, diviso in due, è andato vicino alla guerra civile tra coloni francesi, i lealisti Caldoches, stabiliti al sud, rappresentati da Jacques Lafleur e dal suo ‘RPCR’ (Raggruppamento per la Caledonia nella Repubblica) e gli indipendentisti del nord, i canachi, guidati da Jean-Marie Djibaou, a capo del ‘FLNKS’ (Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista). Una crisi sfociata nel rapimento di 27 gendarmi da parte degli indipendentisti canachi, in seguito all’uccisione di uno dei propri leader, e nel successivo dispiegamento delle truppe francesi speciali sull’arcipelago, con un bilancio di 21 morti.
Un Paese diseguale
Le parti rivali hanno poi scelto la via del dialogo, di un progetto socio-economico condiviso per costruire un “destino comune”, firmando l’accordo di Matignon nel 1988, con la mediazione dell’allora primo ministro socialista Michel Rocard, e dieci anni dopo quello di Noumea. Vent’anni di politiche di riequilibrio politico ed economico a vantaggio dei colonizzati non hanno portato a risultati tangibili. Ancora incompiuto il progetto di autonomizzazione dell’arcipelago, per una sovranità condivisa con Parigi, così come il riconoscimento dell’identità e dei diritti dei canachi. Anzi, rispetto al 1998, sono ulteriormente aumentate le diseguaglianze tra questi ultimi e i coloni, sia politiche, economiche, sociali che culturali. Nel contempo è anche diminuito il numero di canachi residenti, oggi solo il 39% dei neocaledoni, mentre i residenti di origine europea, per lo più francese, sono il 27% e il 34% rimanente proviene da isole del Pacifico e da nazioni asiatiche. In caso di vittoria del ‘no’, la consultazione potrebbe essere ripetuta altre due volte fino al 2022.
Qual è la posta in gioco
In realtà la posta in gioco al voto di domenica è soprattutto di natura economica e strategica. Da decenni la Nuova Caledonia – soprannominata ‘Caillou’ (‘Pietra’) – è un territorio cruciale per le sue risorse in nickel – un quarto di quelle globali – sfruttate industrialmente dalla Francia, quinto produttore mondiale del minerale indispensabile alla produzione di acciaio inossidabile. Dalla metà degli anni ’60, anche grazie ad una politica commerciale e fiscale molto vantaggiosa, più di 35 mila persone, tra francesi e polinesiani, sono sbarcate sull’arcipelago, dove in pochi anni molti di loro si sono costruiti veri e propri imperi. I canachi sono invece rimasti esclusi dal boom economico e hanno dovuto aspettare il 2014 per l’apertura di una fabbrica nel nord, a Koniambo. Con una superficie totale di 1,4 milioni di km2, la Zona economica esclusiva (ZEE) della Nuova Caledonia – due volte e mezzo la superficie dell’Esagono – è ricca di risorse economiche,in buona parte tutte da sfruttare: pesca, riserve minerarie, micro-alghe ed energie marittime rinnovabili.
Negli ultimi anni la Nuova Caledonia è anche diventata un territorio strategico per contrastare l'egemonia della Cina in Oceania, mentre gli Stati Uniti voltano le spalle alle regione. L’arcipelago, duemila km ad est dalle coste australiane, ospita la più importante base militare francese del Pacifico.
La (non) posizione di Macron
“Non mi pronuncio su questo referendum” ha assicurato lo scorso maggio il presidente Emmanuel Macron durante la sua visita a Noumea, preferendo rimanere fuori da una campagna potenzialmente ad alto rischio, svoltasi fortunatamente nella calma e con grande partecipazione dell’opinione pubblica. Tuttavia Macron ha detto la sua, ricordando ai suoi connazionali che dopo la Brexit “la Francia è l’ultimo paese europeo presente nel Pacifico”, avvertendo che la Francia “sarebbe meno bella senza la Nuova Caledonia”.
Tra il 2006 e il 2014 la Cina ha versato alle nazioni insulari del Pacifico più di 1,8 miliardi di aiuti, diventando il terzo partner allo sviluppo della regione dietro Australia e Nuova Zelanda. “Inserita nel continente oceanico, alle porte del sud-est asiatico, la Nuova Caledonia è situata in un luogo davvero strategico. La perdita del territorio significherebbe per la Francia una perdita significativa di sovranità nel Pacifico” ha evidenziato Bastien Vandendyck, esperto in relazioni internazionali.
Tesoro di biodiversità, la Nuova Caledonia possiede, inoltre, una delle tre barriere coralline più estese al mondo, oltre ad una fauna e una flora endemiche eccezionali, valse all’arcipelago l’iscrizione al patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Macron è intervenuto anche su questo fronte, per difendere la presenza francese nel Pacifico. “La Nuova Caledonia è la testa di ponte della nostra lotta al riscaldamento globale, in una regione direttamente esposta alle sue conseguenze” ha sottolineato il presidente francese, evocando cicloni, innalzamento del livello del mare e sbiancamento dei coralli.