La Francia si prepara a rivoluzionare il proprio sistema scolastico: dall’autunno 2019 l’età della scuola dell’obbligo verrà abbassata da 6 a 3 anni. Significa che la frequenza di quella che un tempo si chiamava materna, ora scuola dell’infanzia, non sarà più facoltativa come accade oggi. Il progetto di riforma, annunciato a marzo dal ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, prende il nome di “Legge per la fiducia” e intende trasformare l'asilo nel “vero trampolino di lancio per il successo durante l'istruzione” per “far emergere una società più giusta”.
In Francia, secondo i dati ufficiali, il 97,7% dei bimbi in età 3-6 anni frequenta già ora la scuola dell’infanzia, per un totale di oltre due milioni e mezzo di iscritti. La riforma, anche se modificherà le abitudini di una minoranza, non è soltanto una questione formale: nelle intenzioni del governo francese vuole trasformare quel triennio in una “scuola di linguaggio e realizzazione” del bambino.
In Italia si comincia (volendo) a 3 anni, in Svezia i più “pigri”
Più o meno in tutta l’Europa la scuola dell’obbligo comincia a sei anni. Fanno eccezione Regno Unito, Austria e Svizzera che cominciano prima, tra i quattro e i cinque, mentre Svezia ed Estonia ritardano fino a sette.
Diverso il discorso per la scuola dell’infanzia, quella “pre-elementare”: in Italia si tratta di un ciclo “triennale e non obbligatorio aperto a tutti i bambini, italiani e stranieri, con un'età compresa fra i tre e i cinque anni”. In Spagna si può cominciare dopo aver compiuto un anno, in Finlandia prima ancora, ad appena nove mesi. Ma che cosa significa in concreto mandare obbligatoriamente a scuola bambini di tre anni? Che cosa si può insegnare loro a questa età? Quali capacità possono sviluppare i piccoli studenti? Agi l’ha chiesto a Lucia Angelini, responsabile del Servizio di Neuropsichiatria e Riabilitazione dell’età evolutiva alla Fondazione Don Gnocchi di Milano, e a Daniela Dabbene, insegnante e formatrice della Scuola Montessori VII circolo di Roma.
“È vero, a tre anni gli stimoli sono più efficaci che in seguito”
Secondo la dottoressa Angelini la riforma francese “è assolutamente condivisibile, a patto che si agisca in conformità alle “regole e ai principi del neurosviluppo: tre anni è l’età in cui il cervello è al massimo della plasticità”, una condizione che rende “gli stimoli molto più efficaci”. Di certo però si tratta anche di un momento delicato: “È un’età critica – ammette Angelini – perché il piccolo entra nella fase dello sviluppo cognitivo, quello in cui impara a orientarsi nello spazio e ad avere il controllo occhio-mano”, cioè la coordinazione".
Abbassare a tre anni l’età della scuola dell’obbligo non significa anticipare la prima elementare, non è questo che serve”, aggiunge Daniela Dabbene: “In quel momento il bimbo deve fare un lavoro sul movimento, importantissimo perché gli consente di guadagnare autonomia”. È proprio autonomia la parola chiave: “È il momento in cui il piccolo esce per la prima volta dall’ambiente della casa. Bisogna offrirgli l’occasione per mettere a posto le idee che la mente ha già assorbito” durante la fase di socialità primaria in famiglia. L’obiettivo diventa allora, per esempio, spostare oggetti senza farli cadere, muoversi nello spazio senza urtarli, o imparare gesti come chiudere la zip della giacca o legarsi le scarpe. “Cose che a noi sembrano scontate ma che in realtà sono conquiste”, commenta Dabbene.
Prassie, memoria autobiografica, cognizione sociale: ecco come svilupparle
In neuropsichiatria vengono chiamati prerequisiti scolastici: rientrano in questa categoria le prassie, cioè essere in grado di muoversi senza sprecare energia; lo sono anche la memoria autobiografica, ovvero l’abilità di ricordare quello che è avvenuto, e la cognizione sociale, vale a dire la capacità di regolare il proprio comportamento relazionale in base alla percezione dello stato d’animo dell’altro.
Tutte doti che nascono e si sviluppano tra i due e i quattro anni e che la scuola dell’infanzia deve favorire. Niente banchi di scuola e lavagna, insomma. La ricetta è un’altra: le scuole Montessori, che in Italia sono 138, lavorano nel “dedicare tempo per fare i passi giusti” spiega Dabbene. Un esempio è quando, intorno ai quattro anni, i bimbi entrano per la prima volta a contatto con le lettere dell’alfabeto: “In maniera sensoriale”, naturalmente, dando la possibilità di toccare grandi lettere smerigliate, imparando a conoscerle “ripercorrendo con le mani la loro forma e ascoltandone il suono”.
“In Francia scuola dell’infanzia per integrare, in Italia un servizio sociale di accudimento”
“Riconoscere l’obbligatorietà della scuola dell’infanzia significa affermarne l’importanza dal punto di vista della didattica”, sostiene Dabbene. “Oggi, in Italia, assomiglia più a un servizio sociale”, una realtà cioè a cui affidare i figli piccoli mentre si è al lavoro e non si ha la possibilità di occuparsene. Per provare a replicare il modello francese andrebbe riformato un intero settore, un meccanismo che oggi talvolta esclude anche chi vorrebbe entrarvi. “La nostra scuola ha circa 900 bambini tra infanzia e primaria – spiega Dabbene – ma ogni anno rimangono fuori graduatoria un centinaio di famiglie. È un problema reale”.
Discorso diverso in Francia, dove la riforma della scuola dell’infanzia rifletterà altri aspetti sociali. “Immagino ci sia una finalità di integrazione - commenta Angelini – dettata anche dalla priorità di rinforzare la conoscenza condivisa della lingua” in un Paese che, negli scorsi decenni, ha conosciuto ondate migratorie più intense di quelle italiane. “Se tutti vi potessero accedere significherebbe entrare in una dimensione sociale, abituando il bambino alla stessa realtà che c’è fuori dalle aule”.