Fino a poco tempo fa, l’isola di Adak era considerata un paradiso incontaminato per la fauna selvatica. Un posto unico, selvaggio, dove gli animali potevano prosperare e riprodursi con grande facilità. Un luogo poco conosciuto, poco accessibile, ma anche per questo immune dall’azione umana. Appartenente allo stato dell’Alaska, questo piccolo territorio si trova in appendice a quell’arcipelago lungo e sottile che taglia l’oceano Pacifico e disegna il mare di Bering. Ed è proprio questa grande distesa d’acqua, che divide gli Stati Uniti dalla Russia, a star causando quella che ormai è una metamorfosi sempre più preoccupante e difficile da ignorare.
Un mare sempre più caldo
Il Mare di Bering, che prende il nome dall’esploratore danese che lo scoprì, soffre di un costante e inarrestabile riscaldamento delle sue acque. Un cambio di temperatura che, come racconta National Geographic, ha prodotto un forte stress su tutti i protagonisti della sua catena alimentare. Secondo gli esperti molte specie non riescono più a cibarsi con continuità e il numero degli esemplari è diminuito drasticamente.
Douglas Causey, professore della University of Alaska Anchorage, sta cercando di trovare le ragioni per cui l’area naturale del Maritime National Wildlife Refuge, un vero santuario di pace, stia perdendo i suoi inquilini. Uno studio del 2017 del NOAA, l’agenzia federale che si occupa tra le tante cose di monitorare la condizione degli oceani, ha mostrato come il numero degli esemplari di diverse specie di uccelli, foche, leoni marini e balene sia in costante diminuzione dal 2014. E al contrario si è registrato un forte aumento delle morti di massa, soprattutto di alcune tipologie di volatili.
Sempre più specie a rischio
La situazione è talmente peggiorata che Audubon Alaska, solo nel 2017, ha inserito 36 specie di uccelli nella sua lista rossa. Parliamo di un elenco che ha come obiettivo quello di mettere in evidenza quelle specie che stanno subendo un forte calo demografico e che, come denuncia sempre Causey, “non riescono più a riprodursi come prima”. Per questo è importante cercare di capire come è cambiata la loro alimentazione e se, in fondo, è proprio quest’ultima la colpevole di questo declino continuo.
Timothy Jones, ricercatore del Coastal Observation e Seabird Survey Team dell'Università di Washington, crede invece che la causa di questi problemi sia da ricercare nello scioglimento dei ghiacci marini che ha lentamente modificato il delicato ecosistema del mare di Bering. Una mutazione che, ad esempio, ha influito sulla fioritura, oggi sempre più ritardata, del fitoplancton che ha un posto importante nella dieta di diverse specie della zona. "Le ondate di calore marine stanno diventando più frequenti e più intense", afferma Jones, e colpiscono gli uccelli marini "in modi abbastanza imprevedibili" generando inedia e morte.
Il viaggio di Causey
Su National Geographic si racconta anche del recente viaggio che il ricercatore ha compiuto in diverse isole della zona. Imbarcato su una nave equipaggiata per missioni esplorative e di ricerca, il Tiglax, Causey ha visitato l’isola di Adak ma, soprattutto, quella di Attu, la più lontana dell’arcipelago, per raccogliere reperti e visitare esemplari. In particolare, insieme alla dottoranda Veronica Padula, hanno provato a quantificare quanto la plastica, e in particolare i ftalati, possono aver avuto un ruolo nella morte di così tanti esemplari. Sull’isola, il team ha soccorso un esemplare di Murre Comune, un uccello marino di taglia media, dalla testa nera e il corpo bianco, che ricorda per certi versi un piccolo pinguino, così magro da permettere la vista della cassa toracica. L’esempio più lampante di quello che sta succedendo dall’altra parte del mondo e che, in fondo, riguarda anche noi.