Obiettivo l’ambasciata italiana: resta altissima la tensione a Tripoli, teatro da domenica scorsa di intensi combattimenti tra le unità legate al governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu, e milizie rivali. Stamane all'alba quello che si riteneva sulle prime fosse un colpo di mortaio ha centrato un albergo vicinissimo alla sede della nostra rappresentanza. Fonti diplomatiche hanno riferito che il personale della missione è rimasto illeso ma la gravità del gesto di sfida resta tutta.
L'hotel Al-Wadan, situato nella zona di Al-Dahra, dista appena 150 metri dall'ambasciata. Nell'attacco sferrato poco prima delle 6 ora locale, un colpo di mortaio ha ferito tre ospiti che alloggiavano al quarto piano e ha seminato il panico nella struttura. Sui social network sono comparse le immagini dell'interno dell'hotel, con i vetri rotti, e il pavimento macchiato di sangue.
L'attacco è avvenuto nonostante l'annuncio di un accordo di cessate il fuoco nelle zone a sud della capitale, il terzo in quattro giorni. Un accordo che peraltro è stato respinto dalla Settima Brigata di Tarhuna, la milizia legata al signore della guerra Salah Badi che si è resa autonoma dal Governo di Accordo Nazionale. La Brigata ha fatto sapere che continuerà a combattere finché non "non ripulirà Tripoli dalle milizie", accusate di corruzione. La Brigata combatte insieme alla milizia Al Kani contro quelle che formalmente sono unità dei ministeri dell'Interno e della Difesa del governo di Al-Serraj: le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di Dissuasione (RADA), la Brigata Abu Selim e la Brigada Nawassi, che ricevono finanziamenti dall'Ue.
L’altro obiettivo era il primo ministro
Non a caso poche ore dopo l’attacco la stampa locale ha precisato che l’attacco era duplice. I due missili Grad sparati all'alba erano diretti l'uno contro l'ambasciata italiana, l'altro verso l'ufficio del primo ministro. Il primo razzo ha mancato l'ambasciata "di pochi metri". Il secondo attacco non ha invece avuto conseguenze perché il razzo ha mancato l'ufficio del premier al Serraj ed ha raggiunto una casa non lontana.
Ancora ignota l'identità degli autori: secondo il quotidiano, "mentre molti incolpano le milizie Kani di Tarhouna (anche note come la "Settima Brigata") di stanza nel distretto meridionale di Tripoli di Qasr bin Ghashir, altri chiamano in causa le milizie con sede nella caserma di Hamzah che si trova in una zona nella parte occidentale di Tripoli conosciuta come "la strada dell'aeroporto".
Un attacco contro il successo della “diplomazia ibrida” italiana
Il peggioramento della situazione libica viene a cadere in un momento in cui la politica italiana nel Pese stava dando i suoi frutti. Il riconoscimento era giunto appena due giorni fa dall’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung.
“L’Italia unisce il suo impegno in politica estera all’offerta di soluzioni multiple, per pacchetti, insieme alle sue imprese ed alle sue organizzazioni non governative”, spiega il giornale attraverso un contributo di Elisabeth Braw, del Royal United Services Institute. “Quando si tratta di ricostruire un Paese dilaniato dal conflitto”, aggiunge, “si dà da fare non solo lo Stato. Si impegnano anche le imprese italiane e le organizzazioni di volontariato. E questo vale per la Libia ma anche per altri paesi che per l’Italia sono strategicamente importanti. Grazie a questo approccio plurimo, chiamato anche diplomazia ibrida, nel corso degli anni Roma ottiene con relativamente poco denaro una serie di risultati sorprendenti”. Insomma, “La Germania e gli altri paesi europei avrebbero qualcosa da imparare da questo modello”.
Mai così tanti combattimenti
I combattimenti di questa settimana sono stati i più intensi dallo scoppio della seconda guerra civile libica nel 2014 e hanno causato almeno 40 morti, tra cui una quindicina di civili, e 200 feriti. Nelle ultime ore si è sparato anche nella zona nord, il che ha imposto la chiusura della base aerea di Mitigada, unico aeroporto funzionante nella capitale, con i voli che sono stati dirottati per 48 ore a Misurata, a 200 chilometri.
Intanto anche l’Isis ha ripreso a far sentire la sua presenza in alcune zone del Paese.
Peggiora l’emergenza migranti
Intanto centinaia di migranti sono stati evacuati dall’area degli scontri, dopo essere stati abbandonati senza cibo e acqua nei centri di detenzione della capitale libica quando le guardie sono fuggite a causa degli scontri tra milizie rivali degli scorsi giorni. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i migranti sono stati trasferiti da due centri di detenzione situati nell'area di Ain Zara, nel sud-est di Tripoli, in un "luogo più sicuro”.
L’Unhcr ha fatto sapere che il trasferimento è avvenuto "in coordinamento con altre agenzie e con il Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (DCIM)”. Tra i migranti presenti, tutti cittadini eritrei, si contavano 200 uomini, 200 donne e 20 almeno bambini sotto i cinque anni di età, lasciati per tre giorni senza cibo.
Le cifre dell’impegno italiano
Questa, in sintesi, la presenza italiana in Libia: 4.000 soldati formano il personale della Guardia Costiera, della Marina, dell’Aviazione e delle forze che controllano le frontiere, come anche delle strutture antiterrorismo. Scrive ancora la Faz: “Al tempo stesso le Ong italiane contribuiscono all’assistenza dei bisognosi di aiuto, e tra questi due livelli sono attive 100 imprese”. Che “nel lungo termine traggono profitti dalla ricostruzione del Paese, come anche la stessa Italia, poiché il caos della Libia sarebbe indubbiamente di danno per quello che è il Paese più vicino alla sua frontiera settentrionale”. Insomma, una collaborazione di Stato, volontariato e privato che è una vittoria per tutti e per ciascuno.