Alla fine i britannici hanno cambiato idea: oggi non voterebbero più Leave, cioè non avrebbero alcuna intenzione di abbandonare l’Unione Europea. Niente Brexit, niente colloqui tra Londra e Bruxelles per trovare un compromesso per salutare l’Ue. A dirlo è il Guardian che ha analizzato le tendenze di voto odierne dei cittadini britannici per capire come si rifletterebbe all’interno di Westminster, il Parlamento dove siedono i rappresentanti dei 632 collegi elettorali in cui è diviso il Regno.
Oggi, in 341 di questi, la maggioranza sarebbe per il Remain; a votare contro rimarrebbero in 288, favorevoli cioè alla Brexit. Il 23 giugno 2016, al referendum decisivo, erano rispettivamente 229 e 403. Ciò significa che 112 collegi elettorali hanno modificato il proprio orientamento. E adesso anche la componente più isolazionista, quella degli inglesi (nordirlandesi e scozzesi sono sempre stati per non abbandonare Bruxelles), guarda da questa parte della Manica con un pizzico di nostalgia.
A cambiare idea sono soprattutto i laburisti
L’analisi, commissionata da due organizzazioni chiamate Hope Not Hate e Best for Britain la cui posizione è anti-Brexit, proviene dalla società Focaldata. Sono stati presi in considerazione due sondaggi del sito YouGov sulle intenzioni di voto di oltre 15 mila persone, ascoltate prima e dopo l’annuncio dell’accordo sulla Brexit reso pubblico dalla premier britannica Theresa May lo scorso 6 luglio. I risultati di queste rilevazioni sono poi stati incrociati con i dati dell’Office for National Statistics, l’istituto di statistica del Regno Unito, e con quelli ricavati dal censimento nazionale.
Quanto emerge è sorprendente: l’opinione della maggioranza degli abitanti d’Oltremanica si è diametralmente ribaltata e oggi, se si tornasse alle urne, probabilmente vincerebbe il partito di chi sogna di rimanere nell’Unione “L’analisi – si legge sul Guardian – suggerisce che il cambiamento sia stato guidato dai dubbi degli elettori laburisti che avevano votato per il Leave”. Sarebbero quindi i sostenitori del partito progressista, quello di centrosinistra per capirci, ad aver cambiato idea.
“La tendenza è più marcata nel nord dell'Inghilterra e nel Galles” – scrive il quotidiano britannico, secondo cui questa tendenza “accrescerà ulteriormente la pressione su Jeremy Corbyn per ammorbidire l'opposizione del partito a riconsiderare la partenza della Gran Bretagna”. Il leader dei laburisti, la cui posizione è stata storicamente antieuropeista, si potrebbe cioè trovare di fronte alla necessità di sostenere un nuovo referendum.
La geografia del voto: a pronunciarsi per il Remain sono gli inglesi
Nel 2016 Scozia e Irlanda del Nord erano stati i due Paesi del Regno Unito a schierarsi nettamente a favore del Remain, con percentuali del 62% e del 55,8%. A far pendere l’ago della bilancia verso la risicata vittoria del Leave (alla fine trionfò con il 51,9%) erano però state le schede di Inghilterra e Galles, dove il 53,4% e il 52,5% degli elettori avevano optato per la separazione da Bruxelles.
Due anni più tardi la geografia del voto svelata dal nuovo studio offre una panoramica molto diversa: dei 112 seggi che hanno cambiato opinione, 97 sono inglesi, e 14 (sui 40 complessivi) sono gallesi. Cardiff, insomma, ha decisamente cambiato opinione e gli abitanti di questo piccolo Stato da tre milioni di abitanti oggi voterebbero in maggioranza per rimanere nell’Unione Europea.
Merito del voto degli elettori più giovani e di quelli dei cittadini di origine straniera, spiega il Guardian. Ma curiosamente il collegio elettorale che vedrebbe il passaggio più radicale da favorevoli alla Brexit a contrari non è in Galles: si trova invece proprio nel cuore dell'Inghilterra. È quello di Liverpool Walton, dove il 14,3% dei suoi elettori avrebbe cambiato idea, al grido di “Remain, remain”.