Tra accuse di brogli e lunghi ritardi nella pubblicazione dei risultati, l'ex campione di cricket Imran Khan ha rivendicato la sua vittoria nelle elezioni generali in Pakistan, nonostante l'opposizione della Lega Musulmana del Pakistan che ha respinto il risultato. "Abbiamo avuto successo e ci è stato dato un mandato", ha dichiarato il 65enne leader del partito Teherik-e-Insaf (Pti) durante una diretta televisiva dalla sua abitazione a Islamabad, sottolineando in tono conciliante che non ci sarà nessuna "persecuzione politica" nei confronti dei suoi oppositori in futuro. Con metà dei voti già contati, le proiezioni danno al Pti 120 dei 272 seggi in Parlamento, una vittoria che però non è assoluta.
Definendo il voto il "più trasparente" nella storia del Pakistan, Khan ha ribadito le sue promesse di combattere la corruzione che "si sta divorando il Paese come un cancro", contrastando anche lo stile di vita sfarzoso dei predecessori. Sarà lui stesso a dare l'esempio: ha rivelato che non andrà a vivere nella residenza del primo ministro che invece sarà trasformata in "un'istituzione educativa". L'ex campione di cricket, noto anche per i suoi finanziamenti a scuole coraniche estremiste, ha assicurato di voler riequilibrare le relazioni con gli Stati Uniti in un'ottica di mutuo "beneficio", cosi' come ha annunciato un'apertura nei confronti dello storico rivale, l'India, offrendo di sedersi a un tavolo per trovare una soluzione alla questione del Kashmir conteso.
Nonostante i suoi sostenitori siano già scesi in strada a festeggiare, i risultati ufficiali non sono stati però ancora annunciati: la Commissione elettorale ha respinto le accuse di brogli, sostenendo che i ritardi sono dovuti a problemi tecnici del nuovo software elettorale. "Le elezioni sono state condotte in modo libero e corretto", ha sostenuto il segretario Babar Yaqoob, annunciando per venerdi' i risultati.
Per oggi è atteso il responso anche degli osservatori dell'Unione europea, mentre nessun commento è ancora arrivato dai militari pakistani, accusati durante la campagna elettorale di aver cercato di manipolare il voto in favore di Khan. Imponenti le misure di sicurezza e le truppe che sono state dispiegate, con 371mila soldati sparsi in tutto il Paese, cinque volte il numero presente alle ultime elezioni nel 2013. Timori per possibili violenze confermati dall'attentato rivendicato dall'Isis contro un seggio a Quetta, nel Pakistan occidentale, che ha fatto 31 vittime.
Dura invece la reazione della Lega Musulmana del Pakistan, (Pml-N), al potere dal 2013 e attualmente guidata da Shabbaz Sharif, fratello dell'ex premier Nawaz Sharif, travolto dai Panama Papers. Puntando il dito contro "brogli palesi", il leader ha promesso di usare "tutte le opzioni politiche e legali per porre rimedio a questi eccessi evidenti". Respingendo totalmente la proclamazione di vittoria da parte di Khan, Shabbaz Sharif ha condannato una "manipolazione bella e buona". "Il modo in cui il mandato popolare è stato spudoratamente insultato, è intollerabile", ha aggiunto. Analoghe accuse di brogli gli sono state rivolte dagli altri principali partiti, compreso il Partito Popolare Pakistano (PPP) di Bilawal Bhutto Zardari, figlio dell'ex premier Benazir Bhutto uccisa in un attentato, mentre il Tehreek-e-Labaik Pakistan (TLP) ha già annunciato proteste.