Si chiama Roxham Road e sarebbe una semplice strada di campagna, se non fosse che proprio in mezzo a quella striscia di asfalto corre il confine tra Stati Uniti e Canada. Quegli otto chilometri scarsi sono così diventati meta di un pellegrinaggio sempre più importante, la rotta tentata dai migranti che, dal sud, cercano di raggiungere il Canada.
Roxham Road, tra Quebec e Stato di New York
L’immigrazione, in Canada, non è mai stato un tema di dibattito particolarmente acceso, anche se i flussi non sono mai stati ridotti. Nel 2016, ad esempio, più di una persona su cinque era immigrata. Dati superiori, e di molto, a quelli statunitensi; ma a differenza dei vicini del sud, le polemiche anche politiche sono state poche. Almeno finora. Com’è stato possibile reggere fino a oggi questo equilibrio? Merito di una situazione geografica favorevole e, secondo The Atlantic, di una politica di accoglienza molto chiara. Due aspetti che vanno di pari passo: la nazione nordamericana ha la peculiarità di essere circondata da oceani su tre lati, “muri naturali” che difficilmente possono essere superati in maniera autonoma o a bordo di gommoni e imbarcazioni improvvisate. Al punto che, nei porti marittimi canadesi, nel 2018 sono arrivate soltanto dieci richieste di asilo. E via terra l’accesso può avvenire soltanto dagli Stati Uniti, un Paese che da sempre attrae più di altri e che pertanto viene spesso scelto come approdo, sia dai rifugiati politici e richiedenti asilo che dai cosiddetti migranti politici.
Arrivare in Canada di nascosto, in maniera illegale, è quindi difficile. “È un Paese in cui quasi tutti gli arrivi avvengono dalla porta principale, all'aperto, durante le ore diurne”, scrive la rivista di Washington. Cioè in aereo. Ma volare verso il Canada non è così semplice.
Qualcosa sta cambiando
Le norme che regolano l’accesso in Canada sono piuttosto stringenti. Per le persone che provengono da molti Paesi è necessario un visto, e ottenerlo non è sempre semplice. “Se provengono da un luogo che, di recente, ha visto partire per il Canada molte persone – in vacanza o come richiedenti asilo – la domanda può essere respinta”. È successo nel 2012, quando il 18% delle richieste di visto erano state negate, e continua ad accadere. Lo scorso anno, su due milioni di domande, i rifiuti erano stati il 26%. Nei primi cinque mesi del 2018, i no sono arrivati in quasi un caso su tre. Ma nello stesso periodo di tempo, l’ultimo anno e mezzo, Roxham Road si è fatta sempre più trafficata. La strada che dallo Stato di New York porta in Quebec ha accolto sempre più immigrati. Il confine, in quel punto, non è considerato ufficiale. C’è soltanto una strada che prosegue in mezzo alla vegetazione.
Lì non si applica cioè il Safe Third Country Agreement, l’accordo tra Canada e Stati Uniti secondo cui i primi possono rifiutare di accogliere migranti, anche richiedenti asilo, e rimandarli quindi oltre il confine, in virtù della convinzione che gli Usa siano un luogo dove la richiesta possa essere valutata in maniera equa e umana. Roxham Road è una sorta di oasi nel deserto, un miraggio, la strada che conduce alla speranza. Da lì si passa e si entra direttamente in Canada. La richiesta d’asilo, una volta superata Roxham Road, verrà fatta sul suolo canadese. La giurisdizione, in quel caso, tutela i migranti in maniera più completa, offrendo assistenza sanitaria gratuita e consentendo loro di lavorare legalmente in attesa che la domanda venga accolta o respinta. Un processo che può durare anni.
A confermare il trend che vede la rotta del Quebec particolarmente battuta sono i dati sull’immigrazione del governo canadese. Tra gennaio e maggio, le richieste d’asilo sono state 21.935: il Quebec, la regione di confine dove arriva Roxham Road, è quella che ne ha ricevute di più. Il problema è arrivato anche in Ontario, la regione che confina con il Quebec, dove il governatore Doug Ford ha accusato la politica del premier Justin Trudeau. “Il governo federale ha incoraggiato l’attraversamento illegale del confine e continua a introdurre persone che arrivano dagli Stati Uniti in Ontario via Quebec”, aveva detto Ford, secondo cui la responsabilità del “casino è al 100% del governo federale”.
Non tutti la pensano così: nel video del quotidiano Montreal Gazette, Paul Clarke della ong Action Réfugiés Montreal sostiene che il Canada possa sostenere il peso dell’immigrazione: “Costerà soldi, questo è certo, ma in ballo ci sono esseri umani che hanno il diritto di chiedere asilo. E il Canada può farcela”.