C'è un disegno che sintetizza tutto: un ragazzo seduto in meditazione, l'espressione serena, che stringe tra le braccia dodici cuccioli di cinghiale. Rimbalza di post in tweet sui social, ma solo sui profili asiatici: tra quelli occidentali non lo troverete, perché quello è il ritratto di Ekaphol Chanthawong, il vice-allenatore 25enne che con i piccoli calciatori ha condiviso 18 giorni nelle grotte di Tham Luan Nang Non. Colui che mentre i giornali occidentali sono troppo impegnati a decidere se debba finire o no sotto processo, in patria è celebrato come un eroe.
E' ovvio che poche cose sono più sterili del dibattito tutto occidentale sul destino processuale di Ake, come lo chiamano i suoi giocatori, ma meno ovvio appare ai nostri occhi l'atteggiamento nei suoi confronti delle dodici mamme che hanno atteso fuori dalle grotte. Pregando le loro divinità, non maledicendo il nome di Ake. Un portavoce del governo thailandese ha fatto sapere che la questione processare/non processare non è nemmeno all'ordine del giorno, ma quelle mamme hanno già deciso: è Ake che ha salvato i loro bambini.
Perché è vero che è lui che li ha condotti nel dedalo di cunicoli, è lui che ha ignorato il segnale di divieto di accesso durante la stagione dei monsoni, è lui che gli ha fatto lasciare le ciabatte e portare con sé solo un pugno di merendine, ma è anche - e soprattutto - lui che non li ha abbandonati nemmeno per un attimo, controllando e vincendo la loro paura con una forza che in Occidente riserviamo a certi circoli da guardare con sufficienza: la meditazione.
E' stato lui - ma non poteva essere altrimenti - l'ultimo a lasciare la grotta insieme ai quattro Navy Seals thailandesi che dal momento del ritrovamento non hanno mai lasciato soli i ragazzini. E' stato lui a scrivere ai genitori dei bambini - tutti tra gli 11 e i 16 anni - per chiedere loro scusa, mentre ancora erano 800 metri sotto terra. "Se non ci fossi stato tu, come sarebbe sopravvissuto mio figlio?" gli ha risposto una delle madri, secondo quanto riportato dal Corriere.
E non si capisce il senso del perdono se non si conosce il legame che Ake ha con questi ragazzi. Tutti vengono da minoranze etniche e famiglie disagiate in un'area di confine tra Cambogia, Laos e Thailandia in cui anche solo per andare a scuola devono attraversare il confine. Per tutti il calcio è l'unico modo per tenersi lontano dalla strada e dai guai (almeno fino al momento di imboccare la grotta sbagliata nella stagione sbagliata) e Ake sa bene cosa passano ogni giorno questi ragazzi perché è stato uno di loro.
Dopo aver perso a 10 anni e in pochissimo tempo madre, padre e fratello, è stato affidato ai monaci buddhisti dai quali ha imparato proprio quella meditazione che ha permesso a lui e agli altri di resistere alla fame e alla paura. Ha imparato a conoscere bene il territorio che lo circondava e anche le grotte di Tham Luan. E' uscito dal monastero pochi anni fa per accudire la nonna malata e si è messo a fare il vice-allenatore di una squadra dal nome curioso: "i cinghiali". Quegli stessi cuccioli che una mano felice ha voluto ritrarre tra le sue braccia, sotto un sorriso sereno.