Il Messico ha il suo Trump. Le elezioni del primo luglio hanno sancito la schiacciante vittoria del candidato populista di sinistra Andrés Manuel López Obrador. E anche se il suo cavallo di battaglia in campagna elettorale era stata la lotta alla corruzione, gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulle relazioni con gli Stati Uniti, e in particolare con il suo presidente Donald Trump. Il 64enne neo presidente messicano, poche ore dopo la chiusura dei seggi e quando la sua vittoria era oramai certificata dai dati, ha parlato di una relazione con gli Stati Uniti da costruire su “amicizia e cooperazione”.
Niente polemiche, almeno per cominciare, ma un atteggiamento di apertura verso i vicini di casa. Secondo il quotidiano online Sinembargo, in un articolo tradotto in italiano da Internazionale, sosteneva che “López Obrador non sembra aver tempo per l’arroganza, la rabbia o il revanscismo”. Le prime parole da presidente sembrano andare proprio in quella direzione. Da parte sua, anche Trump ha commentato positivamente l’insediamento di Amlo, come viene soprannominato l’ex governatore del distretto di Città del Messico.
“Congratulazioni a Andres Manuel Lopez Obrador per essere il nuovo presidente. Non vedo l’ora di lavorare con lui. C’è molto lavoro da fare e di cui beneficeranno sia gli Stati Uniti che il Messico”.
Che ne sarà del muro?
La partita aperta tra i due Paesi, confinanti per poco più di tremila chilometri, è quella dell’immigrazione. Dei circa 43 milioni di immigrati che vivono negli Stati Uniti, 11.3 milioni sono messicani, stando ai dati del 2016 di Migration Policy. Tradotto in percentuale, circa un migrante su quattro arriva dal vicino sud. Per frenare questa rotta, fin dai tempi della corsa presidenziale alla Casa Bianca, Trump ha rilanciato l’idea del muro che divida i due Paesi. E proprio poco prima delle elezioni di novembre 2016, il candidato repubblicano era stato invitato in Messico dall’allora presidente Enrique Peña Nieto. Una mossa “bizzarra”, secondo il Washington Post, e che sembra abbia inciso sulla popolarità dello stesso Nieto e, di riflesso, aumentato le chance di vittoria di Amlo. Le carte in mano a Obrador, ora che siederà al Palazzo Nazionale, devono ancora essere svelate: a decidere sul destino del muro non potrà naturalmente essere soltanto lui, ma di certo l’epoca dell’accondiscendenza di Nieto sembra finita.
Un libro svela il dietro le quinte di Amlo
“Ascoltami, Trump”. Si intitola così il libro pubblicato lo sorso anno da Obrador. Un testo, scrive il Washington Post, che “critica l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sul Messico” e in cui ha inserito parte dei discorsi fatti in un tour nelle città statunitensi durante il quale reclamava maggiori diritti ai migranti. Tra questi stralci ce n’è uno, riporta The New Yorker, in cui Obrador accusò Trump “e i suoi consiglieri di parlare dei messicani allo stesso modo in cui Hitler e i nazisti si riferivano agli ebrei, appena prima di cominciare l’infame persecuzione e l’abominevole sterminio”. In un altro passaggio, scrive Npr, Amlo ha invece definito l’inquilino della Casa Bianca “arrogante ed eccentrico”, assicurando di “non consentire (la costruzione, ndr) del suo muro e il maltrattamento dei nostri compagni migranti".
In un altro recente raduno, a febbraio a Los Angeles, il neopresidente soprannominato El Peje era tornato a parlare del muro in termini tutt’altro che di dialogo: “Penso che il muro e la demagogia del patriottismo non corrispondano alla dignità e all’umanità degli americani”, aveva detto in quella circostanza.
A nord Trump si dice pronto a “lavorare” col nuovo capo di Stato messicano. Ma se le previsioni di Sinembargo saranno sbagliate, da sud non sembrano improbabili nuove bordate destinate a incrinare, se non la tenuta del muro, almeno i rapporti diplomatici tra due personaggi così diversi ma, per certi versi, anche piuttosto simili.