Se “il diavolo è nei dettagli”, come ha detto il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov, il documento congiunto firmato a Singapore da Donald Trump e Kim Jong-un appare una grandiosa promessa reciproca formulata - per ora - in termini astratti. “La diplomazia inversa ha prodotto questo risultato: una simbolica stretta di mano che apre le vere negoziazioni”, ha detto all’Agi Lorenzo Mariani, ricercatore del programma Asia dello Iai.
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Il presidente americano si è impegnato a offrire garanzie di sicurezza al regime; il leader nord-coreano ha riaffermato il suo impegno verso una completa denuclearizzazione della penisola coreana. L’impegno congiunto assunto al termine del summit a due - definito “un evento epocale” - è quello di stabilire “nuove relazioni in accordo con il desiderio dei popoli dei due Paesi per la pace e la prosperità” e quindi per stabilire “un regime di pace stabile e duraturo nella penisola”. Il documento – come sottolinea il Sole 24 Ore - affida la messa in pratica “il prima possibile” a successivi negoziati guidati dal segretario di Stato Mike Pompeo. Le sanzioni ci saranno fino alla completa denuclearizzazione, ha detto Trump, mentre annuncia la sospensione delle esercitazioni militari congiunte tra Usa e Corea del Sud: storico pomo della discordia non solo con Kim ma anche con la Cina di Xi Jinping.
“Dal punto di vista formale – elabora Mariani - il documento congiunto non dice niente: ricalca la dichiarazione congiunta del 1993 ed è in linea con la dichiarazione di Panmunjom. Contiene dichiarazioni di intenti che lasciano il tempo che trovano”. A essere mutato è lo scenario, con la posizione della Corea del Nord che risulta notevolmente rafforzata grazie alla dotazione nucleare. Altro elemento di diversità: i due dirompenti leader che si contendono il palcoscenico mondiale, Trump e Kim, passati dagli insulti (“Little Rocket Man” e “The Dotard”, il “vecchio rimbambito”) ai sorrisi.
Nel documento manca il riferimento al completo, verificabile e irreversibile smantellamento dell’arsenale nucleare nordcoreano: punti sui cui gli americani hanno sempre insistito, scavando la divergenza con gli asiatici. Non sono chiare quali concessioni verranno fatte per Pyongyang. Non solo: nella dichiarazione non si parla di missili (l’escalation delle tensioni erano seguite al test di un missile intercontinentale potenzialmente in grado di colpire l’America del Nord).
“Si è arrivati allo storico summit di Singapore senza una vera negoziazione sui termini della denuclearizzazione”, spiega Mariani. “L’accordo non poteva che essere vago: le specifiche verranno discusse in separata sede”.
Il presidente Usa ha dichiarato che ci saranno numerosi altri incontri – i primi già la settimana prossima – e ha invitato Kim alla Casa Bianca.
Bingo internazionale
Con la storica stretta di mano, Kim ha guadagnato ancor più visibilità da giocare sia sul piano internazionale che su quello interno, dove è alla ricerca di una nuova forma di consenso attraverso il rilancio dell’economia. Trump, invece, ha ottenuto quello che voleva: un successo da spendere per il suo futuro politico vista delle elezioni midterm. “A mio avviso sta cercando di scaricare la questione della denuclearizzazione sugli alleati: Corea del Sud e Giappone”, dice Mariani. Subito dopo il summit, Trump ha sentitamente ringraziato il primo ministro di Singapore, Lee Hsien Loong, il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, il premier giapponese, Shinzo Abe, e il presidente cinese, Xi Jinping. Poche ore dopo, Mike Pompeo si è immediatamente attivato per informare Tokyo e Seul dei risultati del summit.
Moon ha definito il summit un "evento storico" che ha messo fine all'ultimo conflitto della Guerra fredda. “Il presidente sud-coreano ha un grandissimo spazio di manovra nella negoziazione con la Corea del Nord – continua Mariani - È la prima volta che ciò accade nella storia di Seul: nei dialoghi a sei erano sempre Usa e Cina a dettare l’agenda”.
Trump, poco dopo la fine del summit, ha annunciato una imminente telefonata con Xi Jinping. La Cina “ha operato silenziosamente, pur continuando a segnalare il suo punto di vista”, spiega Mariani. Del resto in questa fase è stato importante limitare il numero degli attori coinvolti. “Oggi, chiuso il capitolo di Singapore, è possibile che vedremo presto un faccia a faccia tra Moon e Xi”. Che la Cina stia per essere coinvolta più apertamente, lo si capisce anche dalle dichiarazioni del presidente americano, che vuole che Pechino partecipi alla firma dei trattati di pace.
Moon ha fatto da mediatore tra Trump e Kim. La Cina è stata una regista silente. Usa e Corea del Nord si dividono il palcoscenico mondiale. A essere in ansia è invece Tokyo. “Il Giappone è l’attore ancora non coinvolto – dice Mariani - il Paese che è stato più esposto alle minacce missilistiche di Kim e che ha una storica inimicizia con la Cina e con le due Coree”.
Come si smantella un arsenale
Dietro al programma nucleare c’è un mondo. Il processo di denuclearizzazione racchiude una serie di fasi, che vanno dallo smantellamento dell’arsenale e delle strutture al riassorbimento del personale, che dal programma nucleare deve essere reinserito all’interno del programma militare e civile. La Corea del Nord ha già smantellato il sito dei test nucleari di Punggye-ri.
Non solo armi e personale
“Denuclearizzare significa smantellare una serie di strutture: i siti per i test; i tunnel; i missili intercontinentali e sottomarini; i motori e i lanciatori mobili; il plutonio arricchito e riprocessato”, spiega Lorenzo Mariani. Non solo: se è vero che la Corea del Nord ha sviluppato la bomba all’idrogeno, “occorre smantellare altri elementi per le fusioni, quali trizio e litio, e le strutture per l’arricchimento dell’uranio”.
Per quanto Trump abbia parlato di “denuclearizzazione veloce” della Corea del Nord, stando all’ultimo rapporto del Center for International Security and Cooperation dell’Università Stanford, guidato dallo scienziato nucleareSiegfried S. Hecker, le ipotesi di tempistica di un eventuale smantellamento dell’arsenale non sono affatto brevi.
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Una tabella illustra i tre step del processo: breve, medio, e lungo termine.
- Primo passo: fermare il programma. Farlo richiede al massimo un anno.
- Secondo passo: fase di “roll back”. Invertire il programma richiede dai 2 ai 5 anni. “Si tratta della parte operativa iniziale – spiega Mariani – ovvero il reinserimento del personale, l’inizio di una effettiva riduzione dell’arsenale nucleare e dello smantellamento dei reattori”.
Che fine fa il materiale dismesso? “Serve la cooperazione di Paesi esperti nella gestione nucleare, Usa in primis, e dell’Agenzia Atomica Internazionale”, sottolinea Mariani. “Non dimentichiamo che nel pieno della crisi missilistica nord-coreana, una delle prime preoccupazioni, oltre alle minacce, era che un errore umano potesse provocare un incidente nucleare. Il punto è che non conosciamo il livello di manutenzione del regime nord-coreano sulla gestione nucleare”. Robert Kelly, professore di scienze politiche alla Pusan National University, aveva invocato l’aiuto internazionale per ingaggiare la Corea del Nord soprattutto al fine di scongiurare incidenti di questo genere.
- Terzo passo: eliminazione e riconversione totale del programma nucleare. Tempo stimato: 10-15 anni.
Questo processo, secondo alcune stime circolate nei giorni scorsi, costerebbe circa 2 miliardi per 10 anni. Chi paga? “Questa è un’altra questione da definire. Il presidente americano ha detto che Corea del Sud e Giappone saranno ben lieti di fare la loro parte”.
Che fine fa l’uranio arricchito? “Gli Stati Uniti, dopo la caduta dell’Urss nel 1991, avevano comprato parti di materiale fissile e avevano riprocessato le testate. Questa è una questione non da poco che dovrà prevedere sia l’intervento di Paesi Terzi sia il controllo sull’effettivo corso dei lavori di smantellamento. Anche per evitare che materiale e armi possano uscire illegalmente dal Paese. Ci vuole un’attenta supervisione”.