Donald Trump ha giocato d'anticipo su Kim Jong-un e, a meno di tre settimane dal vertice previsto a Singapore con il dittatore nordcoreano, ha disdetto lo storico appuntamento, lasciando di stucco anche Seul. "Tremenda rabbia e aperta ostilità mostrata nelle recenti dichiarazioni" di Kim, sono le motivazioni che la Casa Bianca ha addotto a sostegno della propria decisione, contenuta in una lettera che lascia aperto uno spiraglio: "È inappropriato in questo momento avere questo incontro a lungo pianificato" e questa è una "enorme battuta d'arresto per la Corea del Nord e per il mondo", scrive Trump, ma è "possibile" che il vertice possa tenersi più avanti.
Quello sgradito paragone con Gheddafi
Washington, in realtà, non ha agito in modo inaspettato. La decisione era nell'aria, e Trump si è assunto la responsabilità di prenderla per primo. La Corea del Nord aveva, infatti, minacciato di non partecipare al vertice e addirittura "una resa dei conti nucleare" se l'amministrazione americana persisterà in quelli che ha definito come i suoi "atti oltraggiosi e illegali". L'avvertimento era arrivato dalla vice ministro degli Esteri Choe Son Hui, potente voce della diplomazia nordcoreana: "Se gli Stati Uniti ci incontreranno in una sala riunioni o se (dovranno affrontarci) in una resa dei conti nucleare dipende totalmente dal loro comportamento". Già la settimana scorsa Pyongyang aveva avvertito gli Stati Uniti, che insistevano con le pretese di denuclearizzazione completa e immediata sul modello della Libia. Trump aveva corretto il tiro, aprendo a una denuclearizzazione per fasi, ma nel mirino di Pyongyang era entrato lo "sfacciato e spregiudicato" vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, autore di un paragone tra una eventuale sorte di Kim e quella di Gheddafi (rovesciato nel 2011) se il primo non abbandonerà il programma nucleare.
Prosegue, parrebbe, lo smantellamento dei siti nucleari
A nulla sono valsi gli sforzi di Pechino e quelli di Mosca per impedire quello che il Cremlino ha definito "il danneggiamento del fragile processo di soluzione della crisi che è appena emerso". I preparativi per il vertice sono andati avanti: l'Onu, ad esempio, ha autorizzato i viaggi di funzionari nordcoreani, in deroga alle sanzioni contro Pyongyang, su richiesta del governo di Singapore. E in queste ore sembra essere stato smantellato il sito nordcoreano dei test atomici, Punggye-ri. I giornalisti invitati dal regime a seguire l'evento hanno assistito a una serie di esplosioni controllate che avrebbero distrutto i tunnel, a partire dalla prima, avvenuta alle 11 (le 4:00 in Italia) nella parte Nord, per poi proseguire con le gallerie della parte Ovest e Sud. La rete orientale si ritiene inutilizzabile già dopo il primo test, nel 2006. Si ritiene che le zone dei test fossero in fondo ai tunnel, e le gallerie sono state riempite per prevenire fughe radioattive. Sono state successivamente distrutte con altre esplosioni caserme e altre installazioni nelle vicinanze di Punggye-ri, considerato l'unico sito di test nucleari al mondo: il regime ne ha effettuati sei, l'ultimo dei quali, potentissimo, il 3 settembre. I giornalisti (presenti anche una ventina da Corea del Sud, Russia, Cina, Gran Bretagna e Stati Uniti) non hanno potuto confermare se Kim Jong-un ha assistito allo smantellamento, sebbene esperti internazionali del Palazzo di vetro non vi abbiano potuto assistere.
Pompeo chiarisce (non tutto)
Washington, però, ha rilanciato la posta: "Vogliamo uno smantellamento completo del loro arsenale nucleare", ha detto il capo della diplomazia Usa, Mike Pompeo, sentito dalla Commissione Esteri del Senato, sottolineando che il summit è stato annullato perché non c'erano le condizioni "per un risultato positivo". Negli ultimi giorni, ha aggiunto, gli Usa hanno provato a contattare la Corea del Nord più volte, ma, ha precisato, "non abbiamo ricevuta risposta". Pompeo non ha voluto dire se Seul e Tokyo sono stati avvertiti in anticipo da Trump, circa la decisione di cancellare il vertice, ma la prima reazione della Corea del Sud indica sorpresa: "Stiamo cercando di decifrare le intenzioni del presidente Trump e l'esatto significato delle stesse", ha spiegato il portavoce del presidente sudcoreano, Moon Jae-in; quest'ultimo ha potuto solo dirsi "rammaricato" e convocare una riunione d'urgenza con i responsabili dell'intelligence e della sicurezza del paese. È tornato, insomma, il linguaggio di guerra, con tutte le opzioni di nuovo sul tavolo: "Il nostro apparato militare", ha sottolineato Trump, è "pronto se la Corea del Nord commettera' altri atti folli o avventati".