La prolungata chiusura dei valichi per Gaza rischia di aggravare la già disastrosa crisi umanitaria in corso, impedendo alla popolazione il rifornimento di beni essenziali come cibo, acqua e carburante. E l’allarme lanciato da Oxfam, dopo i gravissimi fatti degli ultimi giorni.
"Il valico Kerem Shalom, uno dei pochissimi punti di accesso per i beni e gli aiuti in entrata e uscita da Gaza, dopo essere rimasto danneggiato negli scontri di due giorni fa, al momento è chiuso o aperto solo per il passaggio di pochissimi beni essenziali. – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie – Andando avanti così, la popolazione rimarrà presto senza carburante, vitale per l’irrigazione dei pochi campi rimasti, che possono permettere alla popolazione di non morire di fame, così come per la desalinizzazione dell’acqua marina, da cui dipende l’accesso all’acqua potabile del 90% della popolazione di Gaza.
Al momento siamo al lavoro dentro la Striscia per riparare e rendere funzionanti il maggior numero possibile di pozzi, ma non abbiamo un piano B in questa fase. È quindi altissimo il rischio di un ulteriore aumento dei prezzi dei beni alimentari che sarebbe il colpo di grazia per tantissime famiglie”.
Gaza "isolata" da 10 anni
La Striscia di Gaza è sottoposta da oltre 10 anni a un blocco da parte di Israele, che controlla sei dei sette valichi di frontiera del territorio costiero palestinese. Quattro di questi sono stati completamente chiusi da quando, nel 2007, il movimento armato islamico palestinese ha preso il controllo della Striscia, mentre altri due, uno usato solo per il passaggio di persone e un altro per lo scambio di merci, sono aperti e chiusi a discrezione del governo di Tel Aviv. Negli ultimi due giorni, durante gli scontri per la cosiddetta “Marcia del ritorno”, che commemorava la Nakba palestinese, la “catastrofe” araba seguita alla fondazione dello Stato di Israele, l’esercito di Tel Aviv ha ucciso 63 manifestanti e ne ha feriti quasi 3.000.
I dati Onu
Secondo gli ultimi dati appena diffusi dall’Onu, dal 30 marzo sono 104 i palestinesi che sono stati uccisi durante le manifestazioni a ridosso della barriera che circonda e imprigiona la Striscia di Gaza. Di questi, dodici erano minori, bambini. Altri dodici, inclusi due bambini, sono stati uccisi in altre circostanze correlate. L’impressionante numero - riporta il Fatto Quotidiano - di feriti si aggira intorno a 12.600, di cui la metà ricoverati in ospedale, tra cui molti mutilati in gravissime condizioni. Tra questi, il numero di persone che ha subito amputazioni di un arto, o ferite alla testa o al torace, è ancora imprecisato ma dai bollettini medici emergono dati scioccanti.
“Condanniamo fermamente l’uccisione di oltre 60 dimostranti, che si è consumata negli ultimi giorni – ha aggiunto Pezzati - La comunità internazionale deve agire immediatamente per porre fine alle violenze e assicurare un contenimento dell’escalation della crisi. È necessario avviare immediatamente un’indagine indipendente sulle uccisioni avvenute in questi giorni, per accertare le violazioni del diritto internazionale e consegnare alla giustizia i colpevoli”.
La denuncia di Amnesty
E mentre "i militari israeliani hanno ucciso e mutilato manifestanti che non ponevano alcun pericolo per loro” - come denuncia sul proprio sito Amnesty international il check point di Erez (che collega Gaza a Israele e dunque alla Cisgiordania e da lì alla Giordania e al resto del mondo) è rimasto ermeticamente chiuso e Gaza è senza benzina, senza elettricità, senza acqua potabile, senza servizi di trattamento dei rifiuti, gli ospedali impossibilitati a lavorare, le scorte di emergenza quasi terminate.