Per anni Uber è stata al centro di lamentele per il rischio da parte degli utenti di incorrere in molestie da parte dei suoi autisti, ma finora è stato difficile dare una dimensione al fenomeno. Un’inchiesta della Cnn ha scoperto e portato alla luce 103 casi negli Stati Uniti, nei quali dei conducenti affiliati all’azienda leader del car-pooling sono stati accusati “di aver abusato sessualmente o molestato i propri passeggeri negli ultimi quattro anni”. Delle persone coinvolte, almeno trentaquattro sarebbero state arrestate, mentre sono diciotto gli assolti.
Uno slogan amaramente tradito
“Un sicuro ritorno a casa”: la promessa contenuta negli slogan dell’azienda si scontra con le storie scoperte dalla Cnn, che ha analizzato le carte giudiziarie e i rapporti di polizia di venti città americane. Uber non ha mai reso pubbliche le informazioni riguardanti i processi in cui è coinvolta, e sebbene abbia promesso nel 2016 di attuare una serie di politiche volte alla prevenzione di episodi sessuali durante le corse, cinque autisti “in diversi Stati” avrebbero detto alla Cnn di non aver ricevuto alcun tipo di formazione a riguardo. In particolare, la pubblicazione di alcuni video sulla prevenzione di molestie sessuali sul sito di Uber, e la promessa di organizzare degli incontri sul tema, sarebbero arrivati dopo che la Cnn ha contattato l’azienda prima di pubblicare l’inchiesta.
Le contromisure annunciate
Ad aprile l’amministratore delegato di Uber Dara Khosrowshahi aveva annunciato una serie di misure volte a garantire maggiore sicurezza per i suoi passeggeri. Tra queste un ‘panic button’ che consente di condividere la propria posizione con le autorità, e la possibilità di individuare cinque numeri di telefono da chiamare in caso di emergenza. Ma il tema centrale riguarda la condotta degli autisti che si affiliano a Uber: la società starebbe infatti cercando di accelerare il processo di verifica periodica dei propri autisti, in modo da prevenire nuovi casi di abusi. “Uber andrà oltre i controlli annuali e sarà tra i primi a investire in tecnologie in grado di identificare rapidamente nuovi reati - si legge nel blog di Khosrowshahi -. Utilizzando fonti di dati che coprono la maggior parte dei nuovi reati commessi, riceveremo una notifica se un conducente è coinvolto, e sfrutteremo queste informazioni per aiutare a rafforzare continuamente i nostri standard di verifica”.
Nel 2015, con l’esplosione delle accuse agli autisti di Uber, l’Atlantic aveva provato a chiarire se vi siano più rischi con il car-pooling rispetto ai taxi. Ma secondo la ricostruzione fornita dai dipartimenti di polizia di Boston, San Francisco, Chicago, New York e Washington, il modo stesso in cui vengono compilate e archiviate le denunce renderebbe impossibile fare questo tipo di confronto. Secondo le autorità infatti, non è possibile dividere le denunce in base al luogo in cui si è svolta la violenza - che sia un taxi, una corsa di Uber o in casa -, pertanto questo impedisce di ricostruire un quadro completo nel quale comparare i due servizi.