Chi si aspettava una riedizione dell’audizione di ieri al Senato si sbagliava. Mark Zuckerberg ha dovuto affrontare nel secondo giro di domande al Congresso questioni assai più delicate e affondi più duri. Più volte in difficoltà, ha dovuto affrontare questioni su come e quali dati degli utenti Facebook raccoglie e monetizza, dagli acquisti alle abitudini, con chi li condivide, come, ma anche sulla natura stessa di Facebook, sul suo business model, sul fatto che si comporti come media company, sulla sua responsabilità dei contenuti pubblicati. E a confermare una notizia: il nuovo regolamento della privacy dei dati (Gdpr) che entrerà in vigore in Europa dal prossimo mese sarà esteso a tutto il mondo.
"Sì, Cambrige Analytica ha avuto anche i miei dati"
Se l’audizione del Senato ha sorpreso per la leggerezza di alcune domande dei Senatori, che hanno lasciato Zuckerberg libero di muoversi e evitare di rispondere in maniera approfondita, nel secondo giorno a Capital Hill ha dovuto fare diverse ammissioni.
A partire dal fatto che i suoi stessi dati sono stati comprati da Cambridge Analytica insieme a quelli di altri 83 milioni di persone. Zuckerberg come un utente qualunque quindi, incapace come chiunque altro di bloccare l’accesso ai propri dati. Quanto tempo ci vorrà per indagare a chi siano finiti quei dati e se altri si sono comportati come l’app fatta da Aleksndr Kogan (thisisyourdigitalife), lo sviluppatore che poi li ha venduti a Cambridge Analytica? “Molti mesi”, ha risposto il fondatore di Facebook.
Regole e privacy: "Qualcosa deve cambiare, il Gdpr sarà esteso in tutto il mondo"
Di nuovo in abito, ma con una cravatta di un tono d'azzurro più scuro, Zuckerberg si è dovuto dimostrare davanti al Congresso assai sensibile al tema dei dati degli utenti. Ammette che arrivati a questo punto: “è inevitabile dare delle regole” all’economia di internet, rispondendo al deputato che gli chiedeva se non fosse un far west per le aziende. Le regole servono “sono disposto a delle regole, a patto che non limitino il business delle aziende e quello delle nuove startup”, ha detto. Il modello diventa il Gdpr, il General data protection regulation che entrerà in vigore in Europa dal prossimo mese: “lo estenderemo in tutto il mondo”, ha detto confermando direttamente quello che alcune riviste di settore avevano anticipato la scorsa settimana.
"Quello che apprezzo del Gdpr", ha detto Zuckerberg, è che "consente agli utenti di essere sempre in controllo dei dati che condividono con le aziende, di cosa viene fatto con quei dati e eventualmente di cancellarli. Ci sarà anche un consenso speciale per quello che riguarda le tencologie del riconoscimento facciale degli utenti”. I legislatori europei sono i veri vincitori di questa audizione, e se non bastassero le parole di Zuckerberg a confermarlo ci pensano i rappresentanti del congresso che a più riprese gli chiedono se userà quelle regole anche per gli Stati Uniti.
"Cambiare il business model? Non so cosa voglia dire"
Ci sono questioni che Zuckerberg ha cercato di evitare, per quanto possibile. La più notevole è stata quella dei dati di navigazione degli utenti, che costituiscono il business model dell’azienda. Alla domanda se considera l’ipotesi di cambiare il proprio business model per proteggere la privacy degli utenti, risponde: “Non sono sicuro di cosa possa voler dire”.
Zuckerberg ha ammesso anche che “in generale (Facebook) raccoglie anche i dati di persone che non sono iscritte a Facebook per ragioni di sicurezza”, i cosiddetti 'shadow profile', confermando quanto emerso su alcune testate americane in queste settimane, ma mai ammesso dalla società. Zuckerberg in difficoltà anche su questo punto si salva solo perché il tempo della deputata che lo incalza finisce. Ma poi fa un'ammissione candida: alla domanda se la società non si fosse accorta che i propri dati erano stati venduti a terze parti e di aver appreso solo dai giornali del caso Cambridge Analytica risponde: “A volte ci capita”.
"Facebook non è una media company, ma è responsabile dei contenuti"
Per quanto riguarda il modello di Facebook, Zuckerberg ha inoltre ammesso che il social media è responsabile dei contenuti pubblicati sulla piattaforma e che quindi di fatto si comporta come una media company, anche se continua a negare questa natura: “Noi siamo una azienda tecnologica”, ha detto rispondendo ad un membro del congresso, “perché il nostro lavoro è principalmente fatto da ingegneri e ci rivolgiamo alle imprese. Ma ora so che siamo responsabili anche dei contenuti pubblicati sulla nostra piattaforma”, il che per certi versi equivale ad ammettere di esserlo.
Le 3 soluzioni al problema delle fake news
Il fondatore di Facebook ha anche detto che l’unica soluzione possibile alle fake news e ai discorsi d’odio sul social (hate speech) è la costruzione di “strumenti di intelligenza artificiale” più raffinati, in grado di controllare con più rigore i contenuti condivisi: “per quante persone possiamo assumere non saranno mai sufficienti a controllare tutto quello che viene pubblicato”. E spiega come Facebook ha intenzione di combattere le fake news con tre azioni già implementate: impedire a chi le diffonde di mettere contenuti a pagamento, costruire un sistema di intelligenza artificiale che riconosca e cancelli gli account, e una maggiore collaborazione con i fact checkers a cui sottoporre contenuti segnalati.
Alla fine Zuckerberg se la cava, e il titolo guadagna in borsa
Anche se le domande sono state più calzanti, e cattive, Zuckerberg in qualche modo se l'è cavata ancora. Le sue difficoltà sono emerse chiaramente, ma alla fine ha retto seppur scatenando molta ironia sui social network dove milioni di persone nel mondo seguivano l'audizione. Alla fine dell'audizione il titolo di Facebook al Nasdaq guadagna ancora: +0,6% su ieri, giorno della prima audizione, quando ha chiuso con un aumento del 4,6%.