Il 4 novembre sarà un giorno storico per la Nuova Caledonia. Ma sarà una data da ricordare anche per la Francia che, dopo 38 anni e il caso di Vanuatu, potrebbe perdere il controllo di un altro piccolo territorio dell’Oceano Pacifico. Lo deciderà un referendum reso possibile da un accordo, firmato nel 1998 (che seguiva quello del 1988 di Matignon), che aveva già garantito maggiore autonomia all’arcipelago. Un piccolo paradiso distante circa due ore di volo dall’Australia. Il movimento separatista, in lotta da vent’anni, ha così la possibilità di coronare quello che sembra essere un desiderio largamente condiviso dagli oltre 250 mila abitanti: l’indipendenza.
L’ex colonia penale ai tempi di Victor Hugo (e della sua amante anarchica)
La Nuova Caledonia fu scoperta da James Cook nel 1774 che la battezzò in quel modo perché le isole gli ricordavano, per forma e forza, la Scozia. Divenne territorio francese nel 1853 dopo una disputa con gli inglesi che ne rivendicavano il possesso, grazie all’intervento di Napoleone III. Dal 1864 ai primi anni del ventesimo secolo fu una delle principali colonie penali di Parigi. Venivano deportati soprattutto anarchici e figure politiche scomode. Ne è un esempio Louise Michel, anarchica e amate dello scrittore Victor Hugo, da cui ebbe una figlia, Victorine, che forse non conobbe mai. La storia è raccontata, in un libro, da una discendente.
Michel sbarcò nel 1874 dalla nave Virginie e rimase nell’arcipelago per sette anni. Partecipò alle rivolte che in quegli anni gli abitanti locali, i kanaki, di origine melanesiana, organizzarono per liberarsi, senza fortuna, dal giogo coloniale. Negli anni successivi fondò un giornale, Petites Affiches de la Nouvelle-Calédonie, scrisse un libro, Légendes et chansons de gestes canaques, e lavorò come insegnante per i figli dei deportati. Nel 1880, dopo aver ottenuto la grazia, ripartì per la Francia. Con grande dispiacere delle popolazioni indigene.
La natura e il Nichel
L’economia dell’arcipelago è legata al turismo e al Nichel. In Nuova Caledonia si è sviluppata una delle più importanti attività estrattive del mondo. Il metallo bianco, simile all’argento, è usato in moltissimi campi e in tantissimi oggetti. Dalle monete alle batterie ricaricabili, dai gioielli ad alcuni alimenti, dai vestiti ai detersivi e ai cosmetici. Ogni anno, in Nuova Caledonia, si superano le 100 mila tonnellate di materiale estratto, un quarto del totale mondiale.
Non è un caso, dunque, se il presidente Macron e il suo primo ministro, Édouard Philippe, abbiano speso molte parole per convincere gli abitanti a non rinunciare alla loro appartenenza francese. Una presenza, quella europea, che può garantire “pace e sviluppo”. Attualmente il Paese manda due deputati all'assemblea nazionale francese e due rappresentanti al Senato. La priorità, ora, è quella di assicurare per il referendum "un clima estremamente pacificato". Almeno secondo Annick Girardin, ministra dell’Oltremare.
Chi voterà?
Questo è uno dei punti più controversi. Gli accordi di Numea, quelli del 1998, stabiliscono che il diritto è nelle mani solo degli abitanti che sono arrivati prima del 31 dicembre 1994 o che possano giustificare venti anni di domicilio continuo. Si tratta di 160 mila abitanti circa e gli esclusi, in gran maggioranza, sono kanaki. Durante la visita, lo scorso novembre, di Édouard Philippe, questo numero è stato ampliato. Negli ultimi mesi è stata inoltre lanciata una campagna di sensibilizzazione in tutto l'arcipelago per convincere i giovani a registrarsi per votare. Gli "ambasciatori" elettorali sono stati nominati sabato in una cerimonia alla presenza del primo ministro insieme al campione di judo Teddy Rine. Tuttavia, come riporta France 24, un sondaggio dell'Istituto di I-Scope sull’indipendenza della Nuova Caledonia, pubblicato lo scorso maggio, aveva registrato un risicato vantaggio per il No (54%). Ma allora il tasso degli indecisi era ancora molto alto (21,4%) e non erano ancora state allargate le liste elettorali.
Il desiderio di crescere (e staccarsi dalla madrepatria)
Nel 2013, il Guardian, raccontò il disagio dei canachi in una fase di grande transizione. La popolazione della Nuova Caledonia, sopratutto nella capitale Noumea, è nettamente divisa tra quella di origine europea, ricca e benestante, e quella indigena, emarginata e ribelle. I giovanissimi, che sono tra i cittadini più poveri dell'arcipelago, sono spesso accusati di compiere furti e violenze. Questi ultimi, da parte loro, sono stanchi di non poter sfruttare le materie prime offerte dallo loro terra natia. Sull’arcipelago, del resto, la maggior parte della popolazione ha meno di trent’anni e il malcontento verso la Francia è in crescita. Nel 2009, solo il 12% degli studenti kanaki delle scuole secondarie ha superato il diploma di maturità rispetto al 54% degli studenti di origine europea. Da quando l’urbanizzazione si è sviluppata celermente, e sono arrivati Internet e la televisione, la situazione è ulteriormente precipitata.
Intervistato dal giornale inglese, Bruno Calandreau, psichiatra in uno dei centri di accoglienza della Nuova Caledonia, descriveva così il Paese: “È di per sé un paese adolescente, alla ricerca di un'identità, che si sta liberando progressivamente dalla madrepatria. Sta cambiando molto rapidamente, senza sapere realmente dove sta andando. Il suo futuro politico non si sta risolvendo e questo clima alimenta l'ansia dei giovani”. Dopo cinque anni, forse, siamo arrivati a un bivio decisivo. E non sarà l’ultimo. L'accordo di Nouméa prevede che si tengano altri due referendum nel prossimo futuro per confermare e ratificare la decisione che verrà presa nel 2018.