Contrastare il traffico globale di organi umani. Con questa missione Wang Haibo ha varcato per il secondo anno consecutivo la soglia della Casina Pio IV. Lui è il medico che dirige il China Organ Trasplant response System, giunto a Roma nei giorni scorsi per partecipare al workshop sulle moderne schiavitù nell’ambito dell’iniziativa “Ethics in Action” organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Wang ci è arrivato con una tabella di dati che illustrano la serietà con cui Pechino, accusata per anni di espianti illegali, ha dichiarato guerra al traffico di organi. E con una proposta: creare una task force internazionale per prevenire le attività criminali, un affare da 1.4 miliardi. Il medico cinese lo ha raccontato ai giornalisti durante una conferenza stampa a margine del summit organizzata dall’Ambasciata cinese di Roma.
Lotta globale al crimine
La Cina combatte da tempo per smarcarsi dalle accuse di espiantare gli organi dai detenuti. Ad alimentarle soprattutto il Falun Gong, organizzazione religiosa fuorilegge, che punta il dito contro il turismo dei trapianti. Pechino rilancia proponendo un modello per combattere queste pratiche a livello globale. Incassa il plauso del Vaticano e del Papa, dice Wang. Carta canta.
Cosa dice la legge
Nel 2007 viene promulgata la normativa sui trapianti. Ma è nel 2011 che il traffico di organi umani diventa un reato perseguibile con la pena di morte. Nel 2015, poi, arriva la messa al bando dell’utilizzo di organi di detenuti.
Le accuse di Amnesty International
Agguerrito sul tema è Nicholas Bequelin, il direttore di Amnesty International per l’Asia orientale, il quale è convinto che l’espianto dai detenuti condannati a morte sia una pratica ancora diffusa e che difficilmente verrà estirpata. “La Cina - dice Bequelin - ha un disperato bisogno di trapianti che supera di gran lunga la disponibilità di organi”. Il numero delle esecuzioni capitali è coperto dal segreto di stato, ma secondo Bequelin si aggira tra i 3mila e i 7mila. “Talvolta – dice - le esecuzioni vengono anticipate perché c’è attesa per un trapianto”.
I dati
Ecco come Pechino smonta le accuse. Negli ultimi dieci anni, dice Wang, la lotta al traffico illegale ha portato a 220 arresti, che in 60 casi coinvolgevano medici ai quali è stata revocata la licenza; 100 le vittime salvate dalla rete dei carnefici. “Purtroppo - ammette – è difficile tracciare il contrabbando di organi”. Si tratta, spiega, di attività che avvengono fuori dalle strutture ospedaliere e coinvolgono soprattutto il mercato nero dei reni. Una realtà agghiacciante che restituisce il volto meno noto della Cina di oggi. Accade a uno dei personaggi dell’ultimo romanzo di Yu Hua, Il settimo giorno (Feltrinelli), costretto a vendere illegalmente un rene per comprare una tomba per la fidanzata.
Per colmare il gap tra domanda (altissima) e offerta (bassissima) Pechino sta promuovendo la cultura della donazione di organi. I risultati, assicurano le autorità, ci sono: “La Cina – spiega Wang - è seconda al mondo per la donazione e per trapianti di organi”. Tra il 2010 e il 2017 il numero di trapianti da donatori viventi è salito da 1.040 a 2.322, mentre quello effettuato da donatori deceduti è passato da 34 a 5.146. Fare richiesta di un trapianto non è solo diritto dei cittadini della Cina continentale, ma anche dei residenti di Hong Kong, Macao e Taiwan, che Pechino considera parte integrante del proprio territorio. “Sono 322 – ha sottolineato Wang - i cittadini di Taipei che hanno ricevuto organi e 175 coloro che sono in lista d’attesa”.
Quanto costa un’operazione di espianto nel mercato nero dei reni? Secondo un reportage di Al Jazeera, a Colombo, capitale dello Sri Lanka, un rene costa dai 53mila ai 122mila dollari.
La strategia
La lotta al crimine non basta, i cinesi vogliono promuovere la prevenzione. Come? Rafforzando la cooperazione internazionale. “Nessun Paese può farlo da solo”, ha detto Wang. L’anno scorso con lui in Vaticano c’era anche l’ex viceministro alla Salute Huang Jiefu, direttore della Fondazione di donazioni e trapianti degli organi umani della Cina, il quale aveva subito diverse pressioni affinché la Cina acconsentisse a ispezioni indipendenti per accertare l’adempienza cinese agli standard internazionali. Pechino ha respinto tali ispezioni, ma nel maggio del 2017 ha proposto all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) una task force nell’ambito dell’agenzia Onu per contrastare il traffico. “Intendiamo – ha detto Wang - affrontare questa nuova forma di schiavitù umana”, come l’ha definita il Papa.
La proposta presentata al Vaticano quest’anno si articola in tre punti: assegnare alla task force il compito di creare un sistema di sorveglianza sul traffico di organi utilizzando i big-data; sviluppare il controllo incrociato dei contatti tra potenziali destinatari e broker del traffico di organi rafforzando la sorveglianza delle comunicazioni; potenziare il coordinamento internazionale nello scambio d’informazioni tra gli organi competenti con lo scopo di individuare i potenziali acquirenti quando entrano in Cina con visti turistici.
Relazioni Cina-Vaticano sullo sfondo
Non passa inosservato alla stampa cinese come l’infittirsi di questi scambi scientifici siano il segnale di un avvicinamento tra Pechino e la Santa Sede che va oltre la lotta al traffico di organi umani. Lo ha sottolineato un editoriale del Global Times, costola del Quotidiano del Popolo, che auspica che tali scambi “possano portare Cina e Vaticano a conoscersi meglio prima che vengano ristabilite relazioni diplomatiche”.
Cina e Vaticano stabiliranno relazioni diplomatiche “prima o poi” e Papa Francesco, “con la sua saggezza”, potrà contribuire alla ripresa dei rapporti diplomatici con Pechino, scriveva il tabloid il mese scorso. Una volontà che trova conferma nella parole della portavoce del ministero degli Esteri cinesi, Lu Kang, che giorni fa ha espresso l’auspicio che "Pechino e la Santa Sede migliorino i legami bilaterali lavorando verso la stessa direzione”
Il Vaticano sarebbe pronto a firmare l’intesa con Pechino sulla nomina dei vescovi che fungerebbe da apripista per la ripresa delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, dopo la rottura dei rapporti nel 1951. Il riconoscimento dei vescovi nominati da Pechino da parte della Chiesa di Roma è stato il caso che ha fatto maggiormente discutere nelle scorse settimane e che ha fatto infuriare uno storico oppositore dell’accordo tra Cina e Vaticano, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, secondo cui l’accordo sarebbe “una catastrofe”, almeno per i milioni di cattolici in Cina rimasti fedeli alla Chiesa di Roma e riuniti nella Chiesa clandestina. Il problema della divisione dei cattolici in Cina, tra i fedeli alla Chiesa clandestina e i fedeli alla Chiesa patriottica, che agisce con il benestare delle autorità cinesi, era stato affrontato dal segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, secondo cui “non si tratta di mantenere una perenne conflittualità tra principi e strutture contrapposti, ma di trovare soluzioni pastorali realistiche che consentano ai cattolici di vivere la loro fede e di proseguire insieme l’opera di evangelizzazione nello specifico contesto cinese”.