Una delle regole base della finanza è che non c'è fattore di rischio che gli investitori temano quanto l'incertezza politica. La recente storia europea sembra, però, voler dimostrare il contrario. Non dobbiamo quindi stupirci se i mercati, per ora, reagiscono in maniera piuttosto compassata al risultato delle elezioni italiane, che hanno dato al Paese un Parlamento senza una maggioranza chiara.
In Germania, dove il crollo dell'Spd (come quello del Pd in Italia) ha cancellato il bipolarismo, a breve si insedierà un nuovo governo di grande coalizione tra i conservatori di Angela Merkel e i socialisti. Un risultato che arriva, però, dopo mesi di estenuanti trattative tra le due forze, tramontata abbastanza presto la prospettiva di una maggioranza "Giamaica". Con buona pace di 'Mutti', che, dopo il complesso verdetto elettorale dello scorso settembre, aveva auspicato di avere un nuovo esecutivo "entro Natale".
E invece, con la primavera alle porte, questo nuovo esecutivo ancora non c'è. Insomma, mesi di trattative per la formazione di un governo, con quello uscente destinato a gestire l'ordinaria amministrazione ben oltre l'inizio della nuova legislatura, sono la nuova normalità nel vecchio continente. E i mercati, ormai, non si scompongono più di tanto. Anche perché simili situazioni hanno sovente coinciso con performance economiche addirittura più brillanti del solito.
La corsa di Madrid, 10 mesi senza esecutivo
Il primo esempio che viene in mente è quello della Spagna. Il primo ministro conservatore, Mariano Rajoy, è stato confermato lo scorso ottobre dopo dieci mesi di trattative estenuanti e ben due inconcludenti tornate elettorali. Troppi per un'economia che aveva figurato tra gli anelli deboli della Ue? Nemmeno per idea. Nel terzo trimestre del 2016 la disoccupazione era scesa al 18,9%, minimo da sei anni. E alla fine dell'anno il Pil era cresciuto del 3,2%, una performance oltre le previsioni nonché tra le migliori del vecchio continente.
Il caso dell'Olanda e il record del Belgio
In Olanda, invece, il voto risale al 15 marzo 2017 e il primo ministro uscente, Mark Rutte, è riuscito solo lo scorso ottobre a costruire una nuova maggioranza che lo sostenesse. Nel secondo trimestre del 2017, quello successivo alle elezioni, l'economia del Paese aveva spiccato il volo, con un'impressionante crescita dell'1,5% rispetto al trimestre precedente e del 3,8% nel confronto con lo stesso periodo del 2016, grazie al boom delle esportazioni e dei consumi interni. Numeri meno impressionanti arrivarono dal Belgio quando restò senza governo per ben 541 giorni, fino al 6 dicembre 2011, strappando il record mondiale all'Iraq devastato dalla guerra. Nondimeno, l'economia non se la cavò affatto male: il 2010 si concluse con un Pil in crescita del 2,7% (il 2009 si era invece concluso con una contrazione del 2,3%), per poi frenare a un comunque robusto 1,8% a fine 2011.
Una spiegazione "liberale"
Casi che sembrano dare ragione ai teorici del liberalismo economico, secondo i quali la "mano invisibile" va lasciata agire il più possibile indisturbata. Questa era stata l'interpretazione proposta su Forbes, a proposito del caso spagnolo, da Tim Worstall dell'istituto Adam Smith di Londra. "L'assenza della necessaria maggioranza parlamentare aveva significato che nessuno era stato in grado di fare nulla", aveva scritto Worstall, "non c'erano stati piani luminosi per rendere le cose migliori, nessun intervento nell'economia. All'economia era stato consentito di procedere con il suo proprio motore e si era comportata piuttosto bene". "Abbiamo bisogno di un governo, ci sono davvero cose che devono essere fatte e decise a quel livello", è la riflessione di Worstall, "ma non è vero che la gestione diretta dell'economia sia una di queste cose. Come dimostrano questi esempi, non avere un governo potrebbe addirittura essere benefico, perché riduce il numero di atti che il governo compie per impedire all'economia di andare avanti per conto suo".