L'intricatissima vicenda del Russiagate è giunta a un punto di svolta con l'incriminazione, da parte del procuratore speciale Robert Mueller, di tre aziende e tredici cittadini russi accusati di aver preso parte a quella che, secondo Mueller, è stata "una campagna sistematica e coordinata per influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti a favore di Trump attraverso falsi account sui social media Usa". Incriminazione che giunge dopo una fitta serie di interrogatori che hanno coinvolto, come ovvio, alti funzionari dei social network attraverso i quali tale campagna sarebbe passata. Tra loro ha spiccato Rob Goldman, numero due della divisione di Menlo Park dedicata alla pubblicità, che si è detto lieto di aver collaborato con le autorità a fare luce sul caso ma ha avvertito che - a quanto risulta dagli spot acquistati da soggetti localizzati nella Federazione - i fatti contraddirebbero quella che è la vulgata sostenuta dalla maggior parte dei media. Ovvero, il principale obiettivo dei troll russi non è stato influenzare le elezioni, tanto è vero che la maggior parte degli spazi pubblicitari sospetti sono stati acquistati solo dopo il voto, ma - più in generale - "dividere l'America diffondendo odio e paura". Esultante la reazione di Trump, secondo il quale Goldman gli avrebbe, in questo modo, dato ragione.
Goldman ha atteso l'ufficializzazione dell'incriminazione per poi esporre su Twitter la sua versione dei fatti.
"Ci sono alcuni fatti chiave sulle azioni russe che non sono ancora ben compresi", ammonisce Goldman.
"Quasi tutta la copertura mediatica delle intromissioni russe riguarda il loro tentativo di influenzare il risultato delle elezioni Usa del 2016. Ho visto tutti gli spot russi e posso affermare in maniera molto definitiva che influenzare l'elezione NON era il loro obiettivo principale".
E poi arriva la vera bomba. Goldman rimanda a un suo vecchio post nel quale esponeva un fatto "che davvero poche testate hanno coperto perché non si attagliava alla narrazione dei media principali su Trump e le elezioni". Ovvero, "la maggioranza della spesa russa in ad è avvenuta DOPO le elezioni". Quale era quindi il vero obiettivo dei troll russi?
Secondo Goldman, "dividere l'America utilizzando le nostre istituzioni, come la libertà di parola e i social media, contro di noi". Il dirigente di Facebook cita, come esempio, la recente dimostrazione anti-islamica di Houston e la relativa contromanifestazione. A quanto risulta da Goldman, entrambe le proteste sarebbero state organizzate da troll stranieri.
Fomentare la divisione non equivale quindi a sostenere un candidato piuttosto che un altro, bensì a esacerbare le divisioni tra gli schieramenti. Tanto è vero, sottolinea ancora il manager, che gli agenti russi avrebbero tentato di costruire anche materiale denigratorio contro Trump. Non solo, la "fabbrica di troll" che avrebbe agito contro gli Usa sarebbe stata messa su nel 2014, ovvero quando la possibilità che Trump diventasse presidente era ancora vista come una boutade.
Rivelazioni esplosive che hanno avuto un minimo di spazio solo quando lo stesso Trump se ne è appropriato e le ha ritwittate, sostenendo che Goldman gli avrebbe dato ragione: se il magnate è asceso alla Casa Bianca è solo merito del suo consenso.
Addirittura, secondo Trump, sono i Democratici ad avere, semmai, qualcosa da rimproverarsi.
Il presidente degli Stati Uniti sottolinea quindi di non aver mai dubitato di un "Russiagate" ma di aver solo affermato che gli agenti russi non avevano influito sul suo successo elettorale. E, su questo punto, Facebook gli ha, almeno in parte, dato ragione.
La conclusione? Se i russi volevano dividere l'America, ci sono riusciti benissimo e ora "a Mosca se la staranno facendo sotto dalle risate".
Il punto principale resta, però un altro: se anche soggetti riferibili a Mosca avessero tentato di influenzare l'esito delle elezioni americane, se anche fosse vero che dietro tali manovre c'era la regia del Cremlino, dimostrare che il risultato del voto sarebbe andato diversamente in assenza di influenze esterne, vere o presunte, è - tecnicamente - davvero impossibile.