Il leader dei socialisti tedeschi, Martin Schulz, non sarà il ministro degli Esteri del prossimo governo Merkel. Dopo le indiscrezioni, ha dato lui stesso la conferma della rinuncia all'incarico, con un comunicato nel quale punta il dito sui "dibattiti sulla sua persona" interni al partito che lo hanno spinto a "rinunciare alla sua presenza nell'esecutivo". Pesa quindi la levata di scudi dell'ala dura della Spd, che non aveva accettato la nuova Grande Coalizione tra i socialisti e la Cdu di Merkel, rinfacciando all'ex presidente del Parlamento Europeo di aver garantito, lo scorso dicembre, che non sarebbe mai entrato in un nuovo governo guidato dalla cancelliera, contro la quale si era candidato alle elezioni dello scorso settembre. "Gli interessi del partito devono prevalere sulle mie ambizioni personali", ha dichiarato Schulz, esprimendo l'auspicio che il suo gesto "ponga fine al dibattito personale interno nella Spd".
A portare il dibattito al punto di non ritorno è stata una durissima intervista del ministro degli Esteri uscente, il collega di partito Sigmar Gabriel, che ha attaccato personalmente Schulz per non aver chiesto la sua riconferma. "È purtroppo evidente che l'apprezzamento dell'opinione pubblica per il mio lavoro non ha significato assolutamente nulla per la nuova leadership della Spd", ha affermato Gabriel.
La fronda dei 'Jusos'
La formula della Grosse Koalition, che ha retto la Germania dal 2005 al 2009 e dal 2013 al 2017, è invisa a larga parte del partito di Schulz, in particolare agli esponenti più giovani, i cosiddetti 'Jusos'. Secondo i critici, l'abbraccio con i conservatori è stato mortale per la Spd, che è stata percepita come un debole partner di minoranza dagli elettori, che la hanno punita alle scorse elezioni con un 20,5% che è il minimo storico di consensi per i socialisti. Il timore di Schulz è che i numerosi avversari interni dell'accordo appena negoziato possano far cadere l'intesa in occasione del referendum di partito che si terrà dal 20 febbraio al 2 marzo. Un passo di lato del leader, spera Schulz, dovrebbe riportare un po' di pace. Si prevede che, dopo il referendum, Schulz lascerà inoltre la guida del partito all'ex ministro del Lavoro Andrea Nahles, che diventerebbe la prima donna a guidare la Spd.
Ma anche la Cdu ha i suoi problemi
Non ancora in carica, il futuro governo di Angela Merkel è quindi già nel pieno della tempesta. Anche perché non c'é soltanto il 'caso-Schulz'. Nel partito della cancelliera in molti la accusano di aver fatto troppe concessioni ai socialdemocratici, che nello schema di governo conquisterebbero larga parte dei ministeri chiave (Finanze, Giustizia ed Esteri) al solo scopo di evitare elezioni anticipate. Anche la Cdu dovrà dare il disco verde alla Grande Coalizione con il congresso il 26 febbraio. Se una bocciatura è improbabile, i mille delegati possono ancora sottoporre la Merkel a un intenso confronto. "Non ci accontenteremo e basta", ha avvertito sul quotidiano popolare Bild la deputata Sylvia Pantel. Un suo collega, l'influente Norbert Rottgen, ha invece lamentato che la Spd, uscita perdente dalle elezioni, lascerà ai conservatori, come dicasteri di peso, solo l'Economia e la Difesa. Non solo, Merkel sarebbe l'unica rappresentante della ex Germania dell'Est, un'area nella quale il sentimento di esclusione è ancora molto forte quasi trenta anni dopo la caduta del muro di Berlino. Un sentimento sul quale l'estrema destra dell'Afd ha costruito buona parte del suo crescente consenso.