Ragazzi, torno da voi: 50 anni dopo quella pagina tragica e sfortunata che fu il Tet, il veterano non chiede altro che di poter tornare insieme ai suoi vecchi compagni d'armi. Ma a Washington non vogliono, proprio quelli che lo mandarono a crepare nel fango in una guerra persa e lontana. E hanno anche messo un cartello all'ingresso: "Vietato deporre le ceneri e ogni altro tipo di oggetto ad esse correlate". Burocrazia contro ricordo, fredda e rigida burocrazia contro dolore ed amicizia.
Eppure quel monumento, che normalmente si indica come dedicato alla Guerra del Vietnam, in realtà proprio per il ricordo dei veterani è stato pensato, e poi progettato ed infine inaugurato: un muro di marmo grigio scuro che penetra scendendo di diversi metri nel terreno di Washington e nella carne viva d'America. Era il 1982, e Ronald Reagan lo volle perché sapeva che quella pagina triste andava affrontata e il lutto elaborato per poter tornare a vincere. Lui l'America voleva farla di nuovo grande, ed infatti appena un anno dopo Grenada era stata invasa dai marines. Ma mentre a Ginevra si vincevano le trattative sugli Euromissili, a Berlino si chiedeva a Gorbaciov di abbattere il Muro e contemporaneamente si lavorava allo Scudo Stellare che avrebbe messo in ginocchio l'Impero del Male, a pochi passi dalla Casa Bianca migliaia di uomini e donne scendevano per quella rampa, a cercare tra i nomi dei 58.000 caduti nelle risaie chi un fratello, chi un padre, chi gli amici.
Quindi, poggiando sul muro un foglio di carta, ci si passava su un pastello o una matita e si tornava - chi nel Montana, chi nel Wisconsin - riportando a casa tutto quello che era possibile portare di un ragazzone raccontato da Michael Herr. Ma ora, dopo aver ricordato i loro compagni morti, anche i veterani iniziano a morire essi stessi: l'età media di chi imbracciò il fucile, o almeno ebbe la sfortuna di essere sorteggiato per la leva, è sugli ottanta. E allora in tanti, sempre di più grazie ad un tam-tam tra coloro che mai si sono del tutto persi di vista, chiedono di poter essere accanto ai loro compagni, a ricreare quella banda di fratelli che combattè contro i Viet Cong. Come negarglielo? Ed ai piedi del muro interrato, o sul suo bordo, hanno preso a spuntare delle cassettine di varia forma e colore, ma gli addetti alla manutenzione non ci hanno messo molto a capire di cosa si trattasse: urne cinerarie. Qualcuna ha incollata sopra una Purple Heart, un'altra indica un nome, cognome grado e numero di matricola. Su un cilindro d'oro l'incisione: "Sergente William R. Shales - 174ma compagnia d'assalto eliotrasportata - tre turni di servizio in Vietnam. Riposi in pace e si goda l'adunata". Daniel Dee Hughes, classe 1940, si è lasciato deporre in un bossolo esploso calibro 155.
E ora dove finiranno le reliquie?
Certo, mani pietose hanno raccolto fin da subito quei poveri resti, come anche tutti gli oggetti che, a ricordo di quella guerra, i vivi continuavano a lasciare: fotografie, manuali di sopravvivenza nella foresta, scarponi, persino un frammento di pala di elicottero. Tutto è stato depositato in una stanza degli uffici dell'amministrazione che si occupa della manutenzione del monumento. Ma ora anche questa stanza non sembra basti più, e si deve affrontare la questione una volta per tutte: farne un museo o continuare ad accumulare senza un particolare piano preciso.
I precedenti non aiutano, perché, ad esempio, a Pearl Harbor è concessa sia la dispersione delle ceneri dei reduci, sia lasciare in mare, in corrispondenza del luogo dove si inabissò nella rada tanta parte della flotta americana del Pacifico, le urne. Ma l'oceano è grande e profondo, il prato del Mall di Washington ben più piccolo e nel cuore di un centro abitato. Così si è deciso per la misura tampone, il divieto di lasciare altri ricordi. Ma è anche la misura più inumana, e non a caso lo stesso fondatore del Vietnam Veterans Memorial Fund si è indignato. "Molti veterani e le loro famiglie vogliono che le ceneri siano disperse al Muro, e faranno esattamente come desiderano", ha tuonato Jan Scruggs, "i reduci vogliono tornare al fianco di quanti hanno ricordato tutta la vita come i giovani che hanno rinunciato alle loro vite in Vietnam, e per rendere meno gravoso un dolore che non può passare". Non è possibile che l'America lo neghi ai suoi figli.