A farla risalire agli onori delle cronache è stata la richiesta al presidente della Bce, Mario Draghi, di abbandonare il “gruppo dei 30”, opaco organo di consultazione composto da alcuni dei leader del mondo finanziario, inclusi banchieri che ricadono sotto la supervisione di Francoforte, che in tale sede discutono a porte chiuse le problematiche relative al settore. Quasi un caso di scuola delle ragioni che hanno gettato milioni di elettori tra le braccia dei partiti euroscettici e nazionalisti. “La presenza del presidente della Bce tra i membri del G30 potrebbe far sorgere la percezione nell’opinione pubblica che l’indipendenza della Bce possa essere compromessa”, scrive nella sua raccomandazione Emily O’Reilly, la donna che dal 2013 ricopre il ruolo di ombudsman, o mediatore, europeo, “che negli anni la Bce abbia consentito a questa percezione di consolidarsi costituisce, da parte sua, un caso di cattiva amministrazione”.
Una donna in lotta per un'Europa più trasparente
Si tratta solo dell’ultimo capitolo della lotta di O’Reilly per un’Europa più trasparente, in grado di riguadagnare la fiducia dei cittadini. Un anno fa aveva aperto un’inchiesta sulla nomina dell’ex presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, a consulente nei ranghi della Goldman Sachs, lamentando l’assenza di un richiamo formale da parte di Bruxelles. Nel 2016 aveva ingaggiato una battaglia, lungi dall’essere conclusa, per chiedere che vengano pubblicate le minute dei vertici istituzionali europei nei quali vengono stese le bozze dei provvedimenti legislativi comunitari. Prima ancora si era resa portabandiera della richiesta di maggiore trasparenza nelle segretissime trattative per il Ttip, l’accordo di libero scambio, poi naufragato, tra Usa e Unione Europea. Più recente la richiesta al presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, di stendere un registro dei lobbisti autorizzati a relazionarsi con i rappresentanti di Bruxelles e a pubblicare le minute di tali incontri. Tutte vicende nelle quali la posta in gioco è il rapporto tra gli europei e le istituzioni comunitarie che vengono percepite sempre più distanti. Senza un cambiamento di passo, ha avvertito O’ Reilly, la Ue rischia di ritrovarsi “come Maria Antonietta”- Bruxelles, quindi, “deve ascoltare i cittadini prima di raggiungere un punto di non ritorno”, fu il monito lanciato nel dicembre 2016, pochi giorni prima del referendum costituzionale italiano che aveva spinto la “ombudswoman”, come non disdegna di farsi chiamare, a paventare che Roma sarebbe stata “la terza tessera del domino”.
Dal giornalismo alla Ue
Importata dalla tradizione scandinava, la figura dell’ombudsman, o “difensore civico”, ha lo scopo di raccogliere ed esaminare le lamentele di cittadini e aziende nei confronti delle istituzioni della Ue. Le sue raccomandazioni non sono vincolanti ma ignorarle non è saggio. Poche figure nell’organigramma comunitario hanno infatti un simile polso della percezione pubblica dell’Unione Europea. "La mia priorità è avere un forte impatto sul lavoro delle istituzioni europee", spiegò O' Reilly in un'intervista, "punto a far ciò concentrandomi sulle questioni sistemiche chiave che sono più rilevanti per gli interessi di cittadini, aziende e altre organizzazioni. Intendo poi utilizzare tutti i poteri a mia disposizione, incluso il mio diritto di avere accesso a tutti i documenti Ue e di chiedere ai funzionari Ue di testimoniare, in certi casi". Un lavoro, quello della consultazione dei documenti, nel quale a O' Reilly sarà tornata sicuramente utile l'esperienza come giornalista politica. Questa era infatti la professione dell'agguerrita irlandese prima di diventare, nel 2003, la prima "ombudswoman" di Dublino. Una carriera che la portò a vincere una borsa di studio a Harvard nel 1988 e a ottenere, nel 1986 e nel 1994, i riconoscimenti di "giornalista dell'anno" e "donna giornalista dell'anno". Una delle caratteristiche chiave di un buon giornalista, del resto, è quella necessaria per svolgere il ruolo di ombudsman: l'amore per la verità e per la trasparenza.