Questa è una storia che ci porta indietro di quarant’anni. Il 1978 fu il primo anno in cui le donne furono selezionate per essere incluse nell’equipaggio dello Shuttle. Ma fu anche l’anno in cui la NASA, per la prima volta, interpellò le sue future astronaute per chiedere chiarimenti su cosa avrebbero voluto portarsi nello spazio per truccarsi.
Una domanda che, anche allora, suonò piuttosto strana, come se la priorità di una donna impegnata in una missione fosse quella di apparire sempre perfetta. E nonostante la confusione, tutta maschile, quel kit fu davvero assemblato. “Potete solo immaginare le discussioni tra gli ingegneri, quasi tutti uomini, su cosa bisognasse inserire all’interno di un kit per il trucco”. Queste parole sono di Sally Ride, la prima donna americana ad andare nello spazio, nel 1983, e morta, a causa di un tumore, nel 2012. Parole che la stessa NASA ha ripreso per twittare il famigerato Kit.
Cosa conteneva il Kit
L’elenco è presto fatto: eyeliner, mascara, ombretto, struccante per gli occhi, fard e lucida-labbra. E già da questo elenco si scorge qualcosa che non va. Il problema, come ovvio, non era relativo alla possibilità o meno di truccarsi nello spazio, ma riguardava quegli uomini che, al tempo, erano convinti che le donne volessero avere un certo tipo, assai pesante, di make-up. Il risultato fu un evidente squilibrio nella scelta elementi. Quasi tutti gli accessori erano dedicati alla cura degli occhi. Un kit incompleto, poco utile e frutto di un sessismo di fondo che, ancora una vota, mostrava una grande insensibilità nei confronti delle astronaute.
L’igiene personale nello spazio
A Washington, nei musei Smithsonian dedicati allo spazio, ci sono molti esempi di kit per l’igiene personale durante le missioni. Sin dagli anni ’60. Nel beauty case standard erano sempre inclusi: sapone, deodorante, pettine, rasoio, dentifricio, spazzolino e altri strumenti simili. Ogni astronauta aveva la possibilità di personalizzare il suo kit scegliendo la marca di dentifricio preferita. Per quanto riguarda i capelli, invece, si utilizzava uno shampoo senza risciacquo. Un prodotto simile a quello usato dai pazienti ricoverati in ospedale che, per vari motivi, non potevano fare una doccia. Se volete saperne di più qui c’è un bel resoconto sulla vita quotidiana in micro-gravità.
Le domande sessiste alle astronaute
Dopo aver completato la sua missione, nel 1983, la Ride ha raccontato di come i giornalisti le rivolgevano delle domande che c’entravano poco con la sua avventura: “Non importava loro se fossi preparata per gli esperimenti, se fossi in grado di controllare i comandi dello Shuttle o di gestire i satelliti per le comunicazioni. Mi chiedevano invece del trucco e, persino, se mi servissero 100 assorbenti durante il viaggio”.
Una situazione che, nonostante il passare degli anni, non sembra essere molto cambiata. Nel 2015 venne chiesto ad alcune astronaute russe, impegnate in una simulazione in vista della conquista della luna nel 2029, come avrebbero resistito per un lungo periodo senza uomini e make-up. Una furente Yelena Serova, invece, fu costretta a rispondere per le rime a un giornalista che le aveva fatto una domanda, assai stupida, sui suoi capelli. Quesiti inutili, esattamente come quel kit vecchio di quarant’anni.