Donald Trump ha aperto il vaso di Pandora del Medio Oriente. Gerusalemme, ha deciso il presidente americano contro tutti (tranne Benjamin Netanyahu, che ha definito questo un giorno "storico", e i cristiani evangelici), è "la capitale di Israele", e lì verrà trasferita tra sei mesi l'ambasciata a stelle e strisce, destinata a esse l'unica rappresentanza diplomatica di questo livello presente nella Città santa. "Il dipartimento di Stato inizierà immediatamente le procedure per attuare il trasferimento dell'ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme", ha detto successivamente Rex Tillerson, segretario di Stato in cerca d'autore, che, già scippato del dossier mediorientale dal genero di Trump, Jared Kushner, dovrà far spazio a Mike Pence per una missione a breve nella regione. Lì, ha detto Trump, servono "calma e tolleranza" per quel che il presidente americano definisce un "nuovo approccio, un nuovo inizio del processo di pace israelo-palestinese".
Abu Mazen: "Washington non può più mediare"
L'arbitro, però, si è schierato con una delle squadre, e questo, da ora in poi, cambia tutto, a partire dal fatto che la bussola del negoziato non la possiede più nessuno. Washington, ha sottolineato Abu Mazen, "non può più avere un ruolo di mediatore". Eppure Trump sembra credere alle proprie parole, fino ad annunciare un vertice straordinario a Riad per l'inizio del 2018, e, perfino, con l'agenda del rilancio della soluzione dei due Stati, che per il presidente palestinese, invece, oggi gli Stati Uniti "hanno demolito".
Ad annuncio atteso ha corrisposto una condanna tempestiva. La decisione americana è "deplorevole" per il presidente francese, Emmanuel Macron; "irresponsabile" per quello turco, Recep Tayyp Erdogan, che ha invitato i leader del mondo islamico per un summit a Istanbul il 13 dicembre; "illegale" per Amman, che ha un ruolo cruciale, acquisito nella posizione geografica e nella Storia, nel negoziato. Si è mosso il Papa, con una dichiarazione molto accurata: "Non posso tacere la mia profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni e, nello stesso tempo, rivolgere un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite", ha dichiarato durante l'udienza generale. La Lega araba, dal canto suo, ha convocato un incontro urgente.
Bruxelles "gravemente preoccupata"
L'Unione europea è "gravemente preoccupata", ha spiegato il capo della diplomazie Ue, Federica Mogherini. Per i Ventotto (compresa Londra, ancora dentro l'Ue e che questa volta non si schiera con Washington) la posizione resta immutata: nonostante gli inviti in questo senso di Netanyahu, nessuno dei Paesi Ue sposterà le proprie rappresentanze diplomatiche da Tel Aviv. Il problema dello status di Gerusalemme - ha ribadito per tutti il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres - deve risolto e definito al termine di negoziati di pace tra israeliani e palestinesi, non prima unilateralmente da una terza parte.
Cina e Russia, quest'ultima impegnata a ridisegnare la mappa del Medio oriente ma partendo dall'esito del conflitto in Siria, stanno per ora a guardare, perplesse, forse scettiche sulle stesse reali intenzioni di Donald Trump. Pechino e Mosca hanno imparato a prendere le dichiarazioni del presidente americano con beneficio d'inventario e valutare poi sul terreno come egli effettivamente si muove. Pechino teme "una possibile escalation di tensioni", mentre il presidente russo, Vladimir Putin, in una conversazione telefonica con Abu Mazen si e limitato a definire "prematuro" il riconoscimento ed espresso timore per il "possibile deterioramento della situazione".
I segnali del possibile deterioramento del quadro, però, ci sono già tutti: la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, promette una "forte reazione del mondo islamico", annuncia che "un giorno Gerusalemme verrà liberata" e paventa una "nuova Intifada", mentre per Hamas "sono state aperte le porte dell'Inferno".