Decine di migliaia di sfratti per i lavoratori migranti, mentre le temperature di Pechino scendono sotto lo zero. Le vie dei distretti più lontani dal cuore politico e storico della capitale sono da giorni al centro di una campagna di ispezioni sulla sicurezza delle abitazioni non in regola.
I controlli sono partiti dopo che un incendio il 18 novembre scorso ha provocato diciannove morti in un palazzo a Xihongmen, nel distretto meridionale di Daxing, riaprendo il problema della sicurezza nelle case delle aree più disagiate. Abitate soprattutto da lavoratori migranti. Le vittime, tra cui otto bambini, erano tutte immigrate dalla Cina rurale.
Da quel giorno, scrive 'Internazionale', le ruspe stanno radendo al suolo Xinjiacun, “Villaggio di nuova costruzione”, dove i residenti hanno trasformato i terreni agricoli in un villaggio urbano, affittando le abitazioni ai waidiren, forestieri, che vivono nei tipici edifici “san he yi, duo heyi” (“tre in uno, tutto in uno”), casa e bottega. Proprio come quello in cui è avvenuta la tragedia. La demolizione non riguarda solo questo sobborgo di Pechino, ma si è estesa a migliaia di altre abitazioni abusive in tutta la città, in una campagna contro il degrado. Pechino sta cacciando la “popolazione di fascia bassa”, in cinese “diduan renkou”: così la stampa locale chiama oggi quella “società parallela” composta da coloro che fino a poco tempo fa erano definititi gongren, operai, oppure mingong, lavoratori migranti. Gente senza diritti e tutela (la riforma dell’hukou, il sistema di certificazione di residenza, langue).
Pechino si sta sbarazzando della “popolazione fluttuante” che con il proprio lavoro ha costruito il boom economico degli ultimi venti anni. Operai, muratori, corrieri espressi, camerieri: cosa ne sarà di loro?
Metodi sotto accusa
Intere famiglie per strada trascinano scatoloni nel gelido inverno pechinese verso mete ignote. La campagna di ispezioni ha provocato polemiche soprattutto in Cina. In difesa di chi in un attimo ha perso tutto si è schierato il giornale più agguerrito della Cina, il 'Global Times', costola del 'Quotidiano del Popolo', noto per i suoi durissimi editoriali sui temi di politica estera, che in questa occasione non ha esitato a mettere sotto accusa l’amministrazione di Pechino. “Con temperature così fredde, gli sfrattati troveranno un nuovo posto in un paio di giorni? Anche se tornassero nelle loro città di provenienza, sarebbe difficile trovare una sistemazione in un lasso di tempo così breve”.
Il 'Global Times' non critica la campagna in sé (“apparentemente la cosa giusta da fare”, dopo l’incendio), ma il modo in cui è stata condotta e le conseguenze che ha prodotto. La capitale viene descritta dal giornale come una delle città più aperte della Cina, e il cui sviluppo è stato storicamente possibile grazie alla presenza di lavoratori migranti. “Non è ragionevole che Pechino chiuda le porte a chi viene da fuori”. Tutto in nome della “pulizia”, scrive il Corriere della Sera.
Il governo non fa nulla per aiutare questa fetta di popolazione emarginata? L’amministrazione di Xihongmen ha messo a disposizione abitazioni temporanee per gli sfrattati e ha assegnato biglietti del treno per chi vuole tornare nella provincia di provenienza (un viaggio di ritorno che spesso si conclude con la scoperta di aver perso radici). Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario del partito di Pechino, Cai Qi, promosso il mese scorso tra i venticinque dirigenti del Politburo.
Cai ha detto che bisogna dare tempo agli sfrattati di sgombrare e che la campagna lanciata dalle autorità non deve essere condotta in modo semplicistico e frettoloso. “Dobbiamo prestare attenzione al lato umanitario e aiutare chi è in difficoltà”, ha dichiarato il capo del partito della capitale in frasi riprese dal quotidiano 'Beijing Daily'. Parole sensate ma tardive, che non hanno placato il forte dissenso espresso in una lettera firmata da oltre cento intellettuali per i quali l’accaduto è “una grave violazione dei diritti umani”.
Consegne a rischio per i big del web
Espellere migliaia di migranti ha un impatto anche sul modello economico che si è seguito fino ad oggi: rischia di indebolire l’industria dell’e-commerce, spina dorsale della “new economy” cinese, scrive il 'Financial Times'. I corrieri espressi sono la colonna portante di una sofisticata ragnatela logistica che consente di consegnare velocemente, a prezzi stracciati, qualsiasi tipo di merce, dai dentifrici ai televisori (alla fine del 2016, il 72,5% degli utenti internet cinesi acquista online). Se ordini una tazza di caffè a domicilio, per esempio, ti viene consegnata a soli 5 yuan (0,80 dollari). Gran parte delle migliaia di persone buttate fuori dalle loro case lavorano per conto dei colossi del settore, Baidu, Alibaba e il suo diretto rivale, JD.com (il secondo dei colossi e-commerce B2C cinesi e la più grande internet company per fatturato). Proprio quest’ultimo ha fatto sapere che ristrutturerà i dormitori degli impiegati in linea con gli standard di sicurezza e aiuterà i lavoratori sfrattati a trovare una nuova sistemazione.
Secondo la società di ricerca IDC, JD.com dà lavoro a 10mila corrieri espressi nella sola Pechino. Anche Baidu, il primo motore di ricerca cinese, ha fatto sapere di aver predisposto sconti negli hotel per i propri dipendenti senza più una casa.
La capitale è al centro di un nuovo piano regolatore che prevede una massiccia riorganizzazione della città (già visibile in molte aree). Tra gli obiettivi, presentati prima del Congresso del Pcc di ottobre scorso, contenere il numero di abitanti, che non dovrà superare i 23 milioni dai 21,7 milioni attuali. Pechino vuole diventare capitale culturale e politica della Cina. Come? Eliminando lo smog e diventando sede dei grandi gruppi, nazionali e internazionali. Per questo la municipalità intende demolire 40 milioni di metri quadrati di abitazioni illegali entro la fine del 2017.
Ma secondo i detrattori, dopo l’incendio di Daxing, il piano di sgomberi e demolizioni ha preso un’accelerazione con la scusa della sicurezza.