Prima di chiudere i battenti, Bluegogo era la terza azienda cinese del bike sharing, subito dietro Mobike e Ofo, i due giganti che oggi invadono di biciclette gialle e grigio-arancio anche le città italiane. Gli analisti ne sono certi: dietro il fallimento della startup, nata nel 2016 con un round di investimenti di 90 milioni di dollari, si cela il primo segnale che la bolla dei finanziamenti al settore delle bici in condivisione è pronta a scoppiare.
Alla guida della nave colata a picco il mese scorso, il Ceo Li Gang, il quale oggi deve vedersela con 20 milioni di clienti pronti a chiedere un risarcimento sui depositi. “In qualità di amministratore delegato, ho commesso degli errori, sono stato arrogante”, aveva scritto Li in una lettera aperta. Ha persino dovuto difendersi dagli attacchi della stampa smentendo la notizia che lo dava in fuga dal Paese. Gli uffici chiusi e abbandonati, lo staff licenziato in tronco, un affitto da 300mila dollari da saldare: gli agguerriti media cinesi non hanno fatto sconti a una vicenda che ha danneggiato numerosi utenti. Un fornitore ha riferito al Global Times che Bluegogo ha chiuso senza saldare un debito di oltre 1,5 milioni di dollari. Eppure, la promettente società era di recente sbarcata a San Francisco. Un’avventura durata pochissimo: aveva dovuto sospendere l’operazione dopo solo due mesi per pressioni politiche (qualche esponente governativo aveva storto il naso).
Le città cinesi sono invase dalle biciclette dotate di Gps che si possono noleggiare con lo smartphone a pochissimi yuan. Bluegogo negli ultimi sei mesi ne aveva messe in circolazione 600 mila. Sono all’incirca 30 le start up cinesi che si sono lanciate nel settore, alimentando il rischio di una bolla. Una flotta di fondi venture capital investe in queste società che crescono rapidamente offrendo prezzi competitivi e guadagnando così quote di mercato.
Risultato? Nascono grandi monopoli. E i pesci piccoli muoiono. Negli ultimi sei mesi sono fallite altre società minori, come Wukong, 3vBike, Ding Ding. Gli analisti dicono che in Cina funziona così: nel consolidamento dell’industria, solo uno o due player sopravvivono. E sbancano. Non a caso, dietro alla solidità di Mobike e Ofo (che nel 2017 hanno raccolto 2 miliardi contro i 58 milioni di Bluegogo, e che oggi pensano a una fusione) c’è il sostegno finanziario dei due colossi di internet in Cina: Tencent e Alibaba (rispettivamente).
In Cina c’è chi mette sotto accusa i manager di Bluegogo, giudicati poco scaltri nella recente gestione di una campagna promozionale: il 4 giugno, l’anniversario di Tian’anmen - tabù in Cina - avevano sostituito in alcune app il logo della bici di Bluegogo con il disegno di un carro armato, un chiaro riferimento alla protesta democratica soppressa nel sangue nel 1989. Offrendo un prezzo stracciato a chi li avesse noleggiate. La bizzarra campagna non fu evidentemente gradita.
Il fallimento di Bluegogo rievoca il triste epilogo di Uber China, comprata nel 2016 da Didi Chunxing, il maggiore operatore nel settore del trasporto automobilistico cinese, con un accordo da 35 miliardi di dollari. Uber China aveva ammesso di essere in passivo per oltre un miliardo di dollari dall’inizio delle sue attività, due anni prima, nel mercato cinese. La corsa per recuperare terreno rispetto alla rivale aveva dato un esito negativo. Didi Chunxing, nata dalla fusione di Didi Dache e Kuaidi Dache, detiene una quota di mercato di quasi il 90%: tra i suoi investitori, spiccano sempre loro, i grandi colossi: Tencent, Albaba (e pure Apple).
La verità poi è anche un’altra. In Cina le biciclette sono troppe: la domanda è inferiore all’offerta. Solo a Shanghai ce ne sono in giro 1,5 milioni. Sorgono così veri e propri cimiteri di bici in condivisione, come quello di Xiamen, città sudorientale, immortalato da un fotografo cinese appena due giorni dopo il triste annuncio della fine di Bluegogo . Visto dall’alto sembra un cestino di caramelle. Invece sono biciclette accartocciate che nessuno userà più.