Il 4 novembre, durante una visita a Riad, il premier sunnita libanese Saad Hariri annuncia le dimissioni e denuncia un complotto delle milizie sciite di Hezbollah, parte insieme ai cristiani maroniti dell'esecutivo di coalizione al potere a Beirut, per ucciderlo con la collaborazione dell'Iran, arcinemico dell'Arabia Saudita. Che cinque giorni dopo invita i suoi cittadini ad abbandonare il Libano, seguita nelle ore successive da altre nazioni sunnite del Golfo: Kuwait, Emirati e Bahrain. Un'escalation che aveva avuto come preludio, il giorno prima delle dimissioni di Hariri (respinte dal presidente maronita Aoun), l'abbattimento di un missile balistico diretto verso Riad e lanciato dallo Yemen, il cui governo, sostenuto dai sauditi, sta combattendo contro i ribelli sciiti houthi, che hanno invece alle spalle l'Iran, in una guerra per procura meno intricata di quella in Siria ma altrettanto sanguinosa. Secondo la petromonarchia sunnita, è una "dichiarazione di guerra" da parte di Iran e Libano, che reagiscono negandolo e invitando al dialogo.
Una complessa serie di coincidenze
Una vicenda complicatissima e in rapidissima evoluzione, come sempre quando si tratta di Medio Oriente, che si arricchisce di un ulteriore colpo di scena giovedì sera, quando inizia a circolare la voce, confermata da diversi politici libanesi, che Hariri sia trattenuto a Riad agli arresti domiciliari, un sospetto che è certezza per Hezbollah, con il "partito di Dio" che accusa i sauditi di voler imporre un nuovo premier a Beirut. Il mistero, per il momento rimane. Secondo il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, Hariri sarebbe libero di muoversi, mentre giungono le notizie dei suoi incontri con alcuni rappresentanti diplomatici stranieri, tra i quali l'ambasciatore italiano e quello russo.
E, se l'accavallarsi di notizie, accuse e indiscrezioni appare già così vertiginoso, è impossibile non collegare la crisi tra Riad e il Paese dei cedri con altri avvenimenti che potrebbero non essere coincidenze, dalle imponenti esercitazioni militare svolte nei giorni precedenti da un Israele sempre più vicino ai sauditi alla "notte dei lunghi coltelli" che ha visto l'ambizioso principe ereditario Mohammed Bin Salman ordinare l'arresto di decine tra principi e ministri del Regno, accusati di corruzione. Una matassa che potrebbe essere, per il momento sbrogliata dalla visita a sorpresa a Riad del presidente francese Emmanuel Macron, che proprio oggi ha incontrato il principe Salman per convincerlo a desistere da propositi troppo bellicosi.
La mediazione di Macron
Secondo la ricostruzione di France Inter, Macron avrebbe da una parte dato ragione a Salman, ritenendo "chiaramente iraniano" il missile lanciato dallo Yemen, dall'altra lo avrebbe invitato a evitare escalation, chiarendo che l'Europa, a differenza degli Usa, non intende prendere le parti dei sauditi contro Teheran e vuole continuare ad aderire all'accordo sul nucleare iraniano. L'obiettivo di Macron è dissuadere Salman dall'opzione di un attacco militare diretto e avrebbe sollevato la possibilità di un negoziato che dissuada la Repubblica Islamica dal proseguire il programma balistico, pena nuove sanzioni. Quanto al Libano, il presidente transalpino avrebbe espresso la sua determinazione a non far precipitare di nuovo il Paese in una guerra civile per regolare i rapporti di forza regionali tra i due grandi protagonisti dello scacchiere mediorientale. Che, con Trump alla Casa Bianca, il nuovo "poliziotto del mondo" parli francese?