Che fine hanno fatto gli 11 principi sauditi arrestati il 4 novembre da una “commissione anti-corruzione” nata appena poche ore prima? Si trovano nella più dorata delle prigioni: il Ritz Carlton di Riad che sin dalla sua inaugurazione avvenuta 6 anni fa ha ospitato miliardari, emiri e leader mondiali. Tra cui il presidente Usa, Donald Trump, che ha dormito nell’hotel lo scorso maggio in occasione della sua prima visita all’estero come comandante in capo. O come il suo predecessore Barack Obama che soggiornò al Ritz nel 2014.
Lì dentro, sotto imponenti lampadari e adagiati su materassi coperti di tessuti floreali, restano confinati i principi. Alcune immagini rubate, riporta il New York Times, mostrano sullo sfondo della grande sala da ballo guardie in uniforme nera e armate di fucili M4. L’intera sala, che ospita banchetti da 1.400 persone sedute, sembra una caserma improvvisata, mentre alcune delle 492 suite fungono da celle di lusso per i prigionieri. Impossibile effettuare una prenotazione tramite il sito internet: l’hotel risulta “non disponibile” fino al 16 dicembre.
Ma perché i principi sono finiti in prigione? E cosa sta succedendo in Arabia Saudita? Nella notte tra sabato e domenica, gli 11, insieme a quattro ministri in carica e decine di ex ministri, sono finiti in manette con l’accusa di corruzione. Autore del giro di vite, il sempre più potente erede al trono saudita, il principe Mohamed bin Salman (conosciuto come Mbs) che nella sua lotta all’illegalità non ha guardato in faccia a nessuno, inclusi i suoi parenti, forse scomodi.
Il 32enne erede al trono è considerato di fatto il reggente dell'Arabia Saudita - guidata ancora dal padre 81enne re Salman - perché controlla le leve del potere dalla Difesa all'Economia con il suo piano "Vision 2030" che punta a ridurre progressivamente la dipendenza dell’economia saudita dall’estrazione del petrolio, di cui detiene circa un quinto delle riserve mondiali. A settembre la commissione aveva arrestato una ventina di persone, inclusi influenti religiosi del clero wahabita (l'interpretazione più rigorosa ed intransigente dell'Islam sunnita) contrari alla politica estera del principe MbS che il 5 giugno ha dato il via alla rottura delle relazioni con il Qatar, così come sue riforme politiche, inclusa l'annunciata privatizzazione del 5% del colosso petrolifero Aramco ed il taglio dei sussidi di Stato.
L'improvvisa accelerata delle riforme di MbS
Negli ultimi mesi – scrive Il Post – “l’applicazione del piano di MbS, che prevede anche una maggiore apertura del Paese, aveva subìto un’accelerata: per esempio si sono tenuti alcuni eventi prima proibiti, come concerti e proiezioni di film, ed è stata annunciata l’abolizione del divieto delle donne di guidare e ad assistere a eventi sportivi dal vivo. Dieci giorni fa, partecipando a un importante summit economico, MbS ha annunciato l’intenzione di reintrodurre «un Islam tollerante e moderato, che sia aperto al mondo e a tutte le religioni»
Gli arresti di sabato sono considerati da molti una “purga” compiuta da MbS nei confronti di oppositori e possibili avversari per il trono, il passaggio finale per assicurarsi sia l’applicazione di “Vision 2030” sia l’ascesa al trono: niente insomma che abbia davvero a che fare con la corruzione. Chas W. Freeman, ambasciatore statunitense in Arabia Saudita fra il 1990 e il 1992, l’ha definito “un colpo di grazia al vecchio sistema”. Ma vanno inseriti in una cornice più ampia, che coinvolge altri Paesi dell’area.