Robotizzazione, tasse e misure contro la "gentrificazione". Il leader del partito Laburista del Regno Unito, Jeremy Corbyn, non è mai stato così forte, e per il suo discorso alla conferenza di partito di Brighton ha scelto i rossi più caldi dalla tavolozza dei temi cari alla sinistra albionica. Alla faccia dei socialisti moderati, ormai in minoranza nel partito, Corbyn viaggia spedito verso la candidatura a Downing Street. E, anche se non sono previste elezioni prima del 2022, il leader inizia a mettere le basi di cosa ci si potrebbe aspettare da un suo governo.
Tra i temi toccati, quello della robotizzazione, ritenuta colpevole di impoverire le classi lavoratrici, è uno dei più sensibili e applauditi. “Dobbiamo affrontare la sfida dell’automazione e della robotica che potrebbe rendere superflui tanti posti di lavoro”, ha detto Corbyn. Secondo il Telegraph in queste parole si potrebbe nascondere l’intenzione di creare una ‘robot-tax’, un’imposta sulle aziende che automatizzano i propri processi produttivi. Nell’anno in cui Andrea Bocelli si esibisce sotto la direzione di un ‘maestro’ umanoide, il tema è quanto mai attuale. E in effetti il primo a parlare di tassare le aziende automatizzate è stato proprio il co-fondatore di Microsoft, Bill Gates. “Bisognerebbe essere disponibili ad alzare il valore delle tasse e anche abbassare la velocità” dell’automazione, aveva detto Gates in un’intervista a Quartz.
Ma ha ragione Corbyn quando dice che la robotizzazione è nemica dei lavoratori? Per il Washington Post, numeri alla mano, l’automazione dei processi produttivi crea più posti di lavoro di quanti ne distrugga. E anche meglio pagati. La vera sfida è quella di saper trasformare il lavoro e le competenze richieste, perché raramente chi lo perde a causa dei robot viene ricollocato con le stesse mansioni.
“I tassi di occupazione sono ai loro massimi livelli dal 1971, nonostante i progressi nel campo digitale e dell’automazione a cui abbiamo assistito da allora”, ha detto John Hawksworth, capo economista della multinazionale di consulenza economica PwC: “Non è chiaro come il futuro sarà radicalmente diverso dal passato in termini di automazione e di come la robotica inciderà sui tassi di occupazione nel Regno Unito”.
Tre casi di scuola: Amazon, Uber e... I bancomat
Secondo James Bessen, economista alla Boston University School of Law, sono molteplici i casi in cui l’automazione ha stimolato la creazione di nuovi posti di lavoro. Un esempio su tutti è quello dell’introduzione di sportelli automatici nelle banche. Negli anni ‘70 i dirigenti della Wells Fargo & Co erano convinti che l’automazione avrebbe portato alla riduzione di filiali e conseguentemente di posti di lavoro. Successe esattamente il contrario: la possibilità per ciascuna filiale di operare con meno personale ha fatto sì che si aprissero nuovi sportelli e che venissero assunti complessivamente più dipendenti, necessari per svolgere mansioni per le quali non possono essere impiegati i bancomat, come i rapporti con la clientela.
Ma quando si parla della sfida tra robot ed esseri umani, il pensiero va subito ad Amazon, azienda da 310 milioni di clienti attivi, che nel 2016 ha registrato profitti che sfiorano i 136 miliardi di dollari. La società è in cima alla lista di quelle accusate di aver distrutto i piccoli commercianti, dal momento che, grazie alla robotica, ha potuto ottimizzare enormemente la gestione dei magazzini, riducendo i costi e incrementando il commercio. Nel processo di vendita però Amazon impiega lavoratori in carne e ossa che supervisionano tutte le operazioni. La tecnologia impiegata ha assestato un duro colpo ai venditori al dettaglio, ma in termini di produzione di posti di lavoro, grazie alla continua apertura di nuovi centri in tutto il mondo, sembra dimostrare di poterne creare altrettanti.
Un settore particolarmente insidiato dalla tecnologia è quello della mobilità. Per esempio, sull’onda della protesta dei sindacati contro Uber, lunedì scorso l’ente per la gestione dei trasporti londinese aveva deciso di revocare la licenza all’azienda americana. Ma secondo le ricerche, sarebbe proprio l’automazione di servizi come Uber a favorire la nascita di una nuova domanda, fino a quel momento inespressa. Nel caso di New York, per esempio, tra il 2005 e il 2017 le corse in macchina utilizzando l’app di car sharing sono state 210mila, a fronte di una riduzione delle corse in taxi di 75mila, evidenziando come la domanda invece che spostarsi, si sia espansa. Sembra infatti necessario intercettare il cambiamento del mercato nell’era digitale, al quale le leggi dell’economia classica risultano sempre più strette.
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I robot ci stanno già rubando il lavoro. Lo dice uno studio Usa