Il 19 gennaio scorso scrivevamo che più di qualche indizio ci portava a sospettare di un possibile interesse del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg a giocarsi la sua carta come candidato (democratico?) anti Trump. Ne avevamo elencati tre:
- Il primo: un accordo fatto a dicembre 2016 con gli azionisti che gli consente di mantenere la guida e il controllo assoluto del social network anche in caso di un impegno politico.
- Il secondo: la sua assenza al pranzo organizzato sempre a dicembre fa da Trump a New York per fare pace con i leader della Silicon Valley (ha mandato la sua vice Sheryl Sandberg).
- E il terzo, che molti hanno considerato quasi una prova: il giro degli Usa che ha iniziato a gennaio 2017 e che durerà tutto l’anno. Obiettivo: ascoltare le esigenze dei cittadini americane, dalle università alle campagne.
Il 3 agosto invece ne avevamo aggiunto un quarto. Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan avevano assunto il sondaggista democratico Joel Benenson per la fondazione filantropica Chan Zuckerberg Initiative. Niente di strano, se non fosse che la scelta di un uomo che ha ricoperto il ruolo di chief strategist nella campagna elettorale per la Casa Bianca di Hillary Clinton, noto per la sua abilità nel condurre ricerche tra l'elettorato americano, ed ex consigliere di Obama.
L'abolizione del Daca ha riacceso la passione politica di Zuckerberg
In questi giorni l’impegno politico di Zuckerberg si è riacceso con la questione del Daca, il permesso speciale per gli immigrati in America che consente loro di lavorare o studiare, anche se irregolari. Trump ha deciso di abolirlo, scatenando di nuovo le reazioni degli uomini della Silicon Valley. Zuckerberg in testa, e ieri sera ha fatto una diretta Facebook di una trentina di minuti in cui ha intervistato tre beneficiari ('dreamers' li chiamava) minacciati dal bando di Trump e chiudendo il suo colloquio impegnandosi ‘insieme a migliaia di altre persone’ a ‘dare battaglia’ contro questo provvedimento. Un attacco diretto all’attuale amministrazione americana.
L'ammissione dei post russi a pagamento, dopo qualche minuto
Qualche ora dopo il Washington Post citando alcune testimonianze di funzionari di Facebook aveva svelato che, nelle udienze sul Russiagate al Congresso, questi avrebbero ammesso di aver venduto un totale di spazi pubblicitari per 100.000 dollari a 'fattorie di troll russe' (comunità anonime che usano il web per le loro campagne, ndr ) che hanno precedenti per aver fatto campagne a favore del Cremlino. Una campagna iniziata nel 2015, poco dopo l’incoronazione di Trump come candidato repubblicano alle presidenziali 2016, e finita a maggio 2017.
Scheda: Cos'è il Daca - Comprendere il Daca, con i numeri
Si è scoperto che si trattava di post legati ad argomenti come l’immigrazione, alla diffusione di armi, non tanto alla promozione di uno o l’altro politico. “Tutto questo può sembrare poco, ma un investimento di quel tipo potrebbe aver portato circa 10 milioni di visualizzazioni” ha scritto Marco Camisani Calzolari su BlogItalia di Agi.it.
Una tempistica sospetta?
La tempistica per il docente di comunicazione digitale all’Università europea di Roma è sospetta: “Mi chiedo se tutto questo c’entra con la campagna elettorale che Zuckerberg sta portando in giro in questi mesi, un vero e proprio tour negli Stati Uniti”. Un sospetto, che si lega agli indizi, e insieme concorrono a vedere Zuckerberg in corsa per la Casa Bianca. Lui lo ha sempre negato, ma Facebook fino a prova contraria ha anche negato che i russi abbiano pagato post sul social network fino allo scorso luglio, per poi confermarlo in queste ore.
Perché la Silicon Valley si oppone a Trump sul Daca?
Il Daca coinvolge in tutto circa 800mila ragazzi che grazie a quella legge possono lavorare o studiare negli Usa. Si tratta appena dello 0,2% della popolazione. Secondo il Center for American Progress i lavoratori sotto il Daca contribuiscono per 30,5 miliardi di dollari al prodotto interno lordo nazionale, di cui 11,6 miliardi solo in California. Una motivazione economica, ma non sufficiente a spiegare l’opposizione di Facebook, Apple, Microsoft e altri big del silicio. Il cofondatore di Google Segey Brin ad esempio ha sempre definito se stesso con un rifugiato russo ed è entrato negli Usa con un programma Visa analogo al Daca, l’H-1B, ma che si riferisce a lavoratori altamente qualificati.
"Se vogliono toccare quei dipendenti devono vedersela con no", Microsoft
Ci sono decine di migliaia di persone che lavorano in California con il Data. Apple ha detto che farà di tutto per proteggere 250 dei propri impiegati contro l’abrogazione del Daca (ma ne ha richiesti 23mila con l’H-1B). Airbnb il 5 settembre ha inviato un comunicato ufficiale firmato dal suo confonder Brian Chesky, Joe Gebbia e Nate Blecharczyk, con precise accuse contro Trump: “Abbiamo fondato Airbnb con l’idea che le nostre vite e il nostro mondo sono migliori quando accettiamo gli altri. Questo non è solo qualcosa legato ai profitti e all’economia. Sono valori che devono legare tutti gli americani”. Microsoft da canto suo ha promesso di ricorrere ai giudici per difendere i suoi dipendenti, e in modo piuttosto netto ha fatto sapere tramite il suo presidente Brad Smith: "Devono vedersela con noi se vogliono toccare i nostri dipendenti".
Quanto valore generano le aziende fondate da immigrati in Silicon Valley
Sia il Data che l’H-1B determinano il ruolo degli immigrati in silicon valley. Secondo i dati di Fortune, il 51% delle startup che valgono più di un miliardo di dollari in Silicon Valley sono fondate da immigrati o imprenditori stranieri. Nella lista Fortune del 2016, almeno il 40% delle aziende principali avevano tra i cofondatori un immigrato negli Usa. E queste aziende hanno generato ricavati per oltre 4,8 trilioni di dollari nel 2014 e dato lavoro a milioni di persone nel mondo.
Trump è una minaccia alla visione 'globalista' dei big della Silicon Valley
Ma, si diceva, non è solo una questione economica. Trump ha avuto sempre una spina nel fianco in Silicon Valley. Alle big company californiane, che devono la loro fortuna ai business legati ad internet e alla globalizzazione, l’atteggiamento protezionista di Trump non piace. Zuckerberg, che non lo ha mai nascosto, ha rifiutato diverse volte di partecipare ai tavoli con il presidente americano. Trump è l’antitesi della loro visione del mondo. E gli immigrati in Silicon Valley sono un simbolo del sogno americano, dell’apertura al mondo che è nelle loro aziende, ma anche nei loro business plan. E senza immigrati la Silicon Valley perde un pezzo essenziale. Della sua economia, ma anche della sua narrazione.