E’ morto il giornale che salvò la vita a migliaia di argentini, il quotidiano che quando nessun altro se la sentiva per paura, attaccò in prima pagina la dittatura del generale Jorge Rafael Videla. Se ne va anche, con la chiusura del ‘Buenos Aires Herald’, l’unico quotidiano in lingua inglese del Paese. Avrebbe compiuto, il mese prossimo, 141 anni, perché fu stampato la prima volta nel settembre 1876 con la testata originale ‘The Buenos Ayres Herald’.
Il direttore Bob Cox pubblicava in prima pagina gli appelli delle madri
Lo fondò uno scozzese che si chiamava William Cathcart. Lo rese veramente grande un giornalista inglese che si chiamava Robert J Cox, 'Bob, prominente nella comunità britannica argentina, il quale guidò il quotidiano negli anni terribili della ‘guerra sporca’, quando denunciò il dramma dei ‘desaparecidos’ malgrado le minacce della giunta Videla e la censura imposta dal 1976 alla stampa, cui Cox non si piegò. Fu il ‘Buenos Aires Herald’ la sola testata a raccogliere l’appello delle madri degli oppositori rapiti e rinchiusi nei campi di concentramento segreti da cui circa trentamila persone non uscirono mai più. Le madri, disperate dal silenzio degli organi di informazione, si rivolsero allo ‘Herald’ e Cox cominciò a pubblicare in prima pagina le vicende di sequestrati e scomparsi. Sapendo che solo sullo ‘Herald’ certe notizie si potevano trovare, gli argentini compravano quel giornale in inglese che era venduto fino a quel momento a poche migliaia di lettori. Le copie balzarono a oltre ventimila al giorno. La reazione del regime non durò a farsi attendere. Benché Cox provenisse da una famiglia agiata, tutt’altro che radicale, il giornalista fu arrestato e riuscì a salvarsi solo grazie all’intervento britannico, che attraverso l’ambasciata ne ottenne il rilascio, e per l’opera diplomatica svolta dagli Usa con l’amministrazione Carter.
Fu ben più fortunato del collega Rodolfo Walsh, che per le sue denunce fu sequestrato nel marzo del ’77 assieme al proprio testamento umano, la “Lettera aperta alla giunta militare”, poi recuperata (e pubblicata) a differenza dei suoi resti mortali.
Una lettera anonima al figlio, poi la fuga negli Stati Uniti
Rilasciato, Cox riprese a lavorare come prima soffocando la paura, ma quando si moltiplicarono le minacce contro i congiunti si convinse a lasciare l’Argentina: decisiva fu una lettera anonima indirizzata al figlio Peter, uno dei suoi cinque, che offriva alla famiglia “l’opzione di lasciare il Paese, dove corri il rischio di finire assassinato. Fai quel che preferisci, e dici a papi e mamma di vendere la casa e le automobili e di andare a lavorare a Parigi, in qualcun altro dei quotidiani Herald. Puoi pure scegliere di rimanere qui, a lavorare per i diritti umani, ma non pensiamo sia ciò che preferiscono i tuoi genitori, gli zii e le zie che ti aspettano per Natale in Inghilterra”.
Alla fine del ’79, Cox e famiglia si rifugiarono negli Stati Uniti dove l’ex direttore del ‘Buenos Aires Herald’ trovò lavoro al ‘The Post and Courier’ di Charleston.
Tanti anni sono trascorsi e gli anni travolgono le sorti di governi, di uomini e giornali. La dittatura in Argentina è un dolore che non s’è mai spento ma si è fatto memoria; il signor Cox è un anziano che sette anni fa fu festeggiato in grande a Buenos Aires con la cittadinanza onoraria; il ‘Buenos Aires Herald’, invece, è capitato nelle mani dell’imprenditore Cristóbal López, ultra ‘K’, cioè sostenitore dell’ex presidente della Repubblica Cristina Kirchner. Assecondando le sue sorti politiche, López ha avviato pesanti tagli alla sua holding editoriale, il Grupo Indalo, di cui ha fatto le spese anche la gloriosa testata in lingua inglese, comprata all’imprenditore Orlando Vignatti assieme ad altri pezzi di una costellazione multimediale inscritta nella galassia kirchnerista.
Lo 'Herald' nella galassia del magnate accusato di mega-evasione
Oggi, per una somma galattica, López è accusato di evasione fiscale anche per le imposte non versate all’erario dal suo gruppo petrolifero: l’Afip, l’agenzia delle entrate argentina, rivendica dalle imprese sue e di Fabian de Sousa (titolare del 30% del Grupo Indalo) l’astronomica cifra di 8,6 miliardi di dollari più interessi, per un importo complessivo di oltre 10 miliardi. Qualcuno ha fatto i conti: se Lopez pagasse tutto il dovuto, coprirebbe da solo il 18% del deficit pubblico argentino registrato a giugno scorso, uno dei mesi peggiori della storia.
Da quando, a fine 2015, la Kirchner ha lasciato la Casa Rosada a Mauricio Macri, il Grupo Indalo ha chiuso i quotidiani ‘El Ciudadano’, ‘El Argentino’ e adesso il ‘Buenos Aires Herald’, dopo un coma editoriale in cui era stato pubblicato, da ottobre scorso, con periodicità settimanale il solo venerdì. Ma l’esperimento non ha funzionato: perdeva due milioni di pesos al mese.
Nella sua storia il giornale aveva superato giorni delicati. Era sopravvissuto nel 1959 al concorrente ‘The Standard’ come solo quotidiano nazionale in inglese. Visse gloria e paura sfidando i militari di Videla, ma sempre ce la fece. Per epitaffio resteranno, allo ‘Herald’, le parole assai sobrie di Cox quando gli attribuirono la cittadinanza bonairense: “E’ un orgoglio ricevere quest’onorificenza a nome dei giornalisti ‘desaparecidos’. Ma feci solo il mio lavoro”. Parlò per lui fra gli altri, e fu più esplicito, il patron del gruppo mediatico Perfil, Jorge Fontevecchia: “Devo la mia vita a Cox”. Perché Fontevecchia era un giovane reporter quando, nel ’79, fu rapito dai soldati e portato al famigerato campo di detenzione clandestino El Olimpo. Ne uscì grazie a un reportage del ‘Buenos Aires Herald’, come – si calcola – ne uscirono tanti altri. Cose che raccontò nel 2008 un altro figlio di Cox, David, giornalista della Cnn e solo un ragazzino all’epoca, nel suo libro ‘Dirty Secrets, Dirty War: The Exile of Robert J. Cox’.