Diciotto progetti di alta velocità all’estero, per un valore di 143 miliardi di dollari. Sono alcuni dei numeri dei progetti ferroviari cinesi in tutto il mondo, che rappresentano uno dei più grandi piani infrastrutturali mai avviati, ma su cui, in diversi casi, si è incagliata l’iniziativa cinese, che comprende in gran parte i progetti sviluppati in Paesi che rientrano nell’iniziativa “Belt and Road” di sviluppo infrastrutturale tra Asia ed Europa lanciata nel settembre 2013 dal presidente cinese, Xi Jinping. Non tutti i progetti, però, sembrano godere della stessa fortuna: un’inchiesta condotta dal Financial Times assieme al Center for Strategic and International Studies svela alcune difficoltà che incontrano i progetti cinesi all’estero.
I progetti ferroviari sfumati in Usa, Venezuela, Messico, Myanmar e Libia, hanno un valore di 47,5 miliardi di dollari secondo le stime del Financial Times, mentre quelli in corso d’opera in Laos, Arabia Saudita, Turchia e Iran valgono 24,9 miliardi secondo le stime del Csis. Complessivamente, il valore dei diciotto progetti di alta velocità tra quelli in fase di realizzazione, quelli annunciati e uno già completato, la linea Ankara-Istanbul, sarebbe oggi superiore al valore di un piano Marshall, che oggi varrebbe intorno ai 130 miliardi di dollari (13 miliardi di dollari di allora).
Ma ci sono alcuni dubbi sulla loro sostenibilità finanziaria
Le motivazioni sono differenti da caso a caso. Il Messico, nel 2014, cancellò un progetto da 3,7 miliardi di dollari, citando dubbi riguardo alla trasparenza del progetto stesso, secondo il segretario ai Trasporti, Gerardo Ruiz Esparza. Altre difficoltà legate all’attuazione dei progetti sono state riscontrate dagli Stati Uniti al Venezuela, mentre altri tre progetti analizzati dall’inchiesta condotta dal Financial Times rivelano difficoltà che riguardano problemi su possibili violazioni di normative dei Paesi in cui vengono realizzati e la sostenibilità finanziaria dei progetti.
Il caso del Laos, che soldi non ne ha
Quest’ultimo caso riguarda soprattutto un Paese come il Laos, che non ha le risorse per assorbire i costi di una linea ad alta velocità, che arriva a costare quasi metà del prodotto interno lordo del Paese (5,8 miliardi di dollari a fronte di un prodotto interno lordo di 12,3 miliardi calcolato nel 2015). La stessa Asian Development Bank aveva definito “non abbordabile” il progetto, e per lo stesso Csis “ha poco senso economicamente”. Anche il progetto di collegamento tra Jakarta e la città di Bandung in Indonesia, per un valore complessivo di 5,5 miliardi di dollari, è andato incontro a rallentamenti, e il governo indonesiano starebbe ricalcolando i costi della tratta ad alta velocità.
Lo stop Ue alla lina Belgrado Budapest, cinese
Il progetto non sarebbe, però, fermo, e solo pochi giorni fa, i media cinesi davano risalto al completamento del primo tunnel sulla linea ferroviaria, che dovrebbe essere ultimata entro i prossimi tre anni e accorciare da oltre tre ore a quaranta minuti la distanza tra le due città. Tra i dubbi e i rallentamenti, ci sono anche progetti che hanno riscosso successo e che la Cina punta a replicare. Uno di questi, sicuramente, è la linea ferroviaria che collega l’Etiopia a Gibuti, nell’Africa orientale, per l’introduzione di “standard cinesi” che potrebbero essere esportati anche altrove, secondo quanto scriveva all’epoca la stampa cinese. Non ovunque, però, gli standard cinesi sembrano bene accolti: tra i progetti più controversi c’è, invece, quello della linea ferroviaria tra Belgrado e Budapest, a cui l’Unione Europa ha dato un primo stop nel febbraio scorso per indagare su presunte violazioni alle norme Ue.
I fondi ai progetti ferroviari (e non solo) non sembrano, però, mancare. Per il futuro, l’iniziativa “Belt and Road” potrà contare su finanziamenti aggiuntivi di 113 miliardi di dollari, oltre ai 900 miliardi già messi in preventivo nel 2015, secondo quanto annunciato dallo stesso presidente cinese, Xi Jinping, al primo forum per la cooperazione internazionale all’interno del progetto “Belt and Road”, che si è tenuto a Pechino nel maggio scorso. L’estensione di finanziamenti non è, però, senza rischi, soprattutto con l’apertura di linee di credito verso Paesi a rischio default, tra cui lo Economic Strategy institute cita Etiopia, Kenya e Sri Lanka. I prestiti “non verranno ripagati. E’ un perdita totale”, sostiene Clyde Prestowitz, il presidente del think-tank di Washington. “Posso prevedere sviluppi simili nella One Belt, One Road”.