A un anno dal tentato golpe la Turchia è spaccata in due

di Giuseppe Didonna
 Turchia golpe

Un'occasione perduta?

È probabile che il presidente propenda per la seconda opzione, considerando che ha già escluso dalle celebrazioni i due partiti di opposizione, i repubblicani del Chp e i filo curdi dell'Hdp, spingendo de facto, questo anniversario, verso uno show del partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP).
Un'occasione probabilmente sprecata dalla Turchia, considerando che il 9 agosto 2016 in una manifestazione tenutasi ad Istanbul, Erdogan ringraziava tutti i partiti politici, i media e il popolo, che compatti avevano reagito contro il golpe.
Si inneggiava all'unità nazionale, a un nuovo inizio per un Paese che sembrava aver chiuso i conti con il proprio passato (5 colpi di stato dal 1960 in poi), un'illusione dovuta al fatto che lo stato di emergenza proclamato due settimane prima di quel comizio non aveva ancora manifestato i propri, devastanti, effetti.
 Erdogan tiene un discorso in occasione dell'anniversario del fallito colpo di Stato

Lo stato di emergenza e le epurazioni infinite

Che l'organizzazione di Gulen sia stata fortemente radicata nel Paese è cosa nota, peraltro risultato di una solidissima alleanza con Erdogan, durata fino al 2012; tuttavia nel mirino dei decreti emessi con la procedura prevista dallo stato di emergenza sono finiti giornalisti, accademici, politici e attivisti che nulla hanno a che fare con Gulen, sulla base di presunte affiliazoni a separatisti curdi (Pkk) o brigatisti di sinistra (Dhckp).
Un impatto violento sulla vita di tante, troppe persone, sacrificate sull'altare di una presunta perenne minaccia che incombe sulla Turchia e che porta, di volta in volta, la firma di Gulen, o dell'estrema sinistra, del Pkk.
Il sistema giudiziario non è stato risparmiato dalle purghe, con le nuove nomine a rimpiazzare i presunti gulenisti che ne hanno consolidato il controllo da parte del governo. Una delle conseguenze è stata la detenzione di 12 parlamentari del partito filo curdo Hdp, tra cui Selattin Demirtas, l'uomo che aveva portato l'Hdp in parlamento.

Il referendum, lo snodo cruciale

Nonostante questi due fattori, l'esito risicato con il quale il presidente ha portato a casa il risultato tanto desiderato ha messo in luce un Paese spaccato in due, con Erdogan vincitore sulle coste del Mar Nero e nell'Anatolia rurale, ma sonoramente sconfitto sulla costa mediterranea ed egea e nelle maggiori città: Ankara, Istanbul, Smirne e Antalya. In attesa che con la prossima legislatura la costituzione venga riformata, Erdogan non ha perso tempo per sfruttare l'unico emendamento attuabile hic et nunc, ed è tornato alla guida del partito, deciso a preparare al meglio il 2019, anno in cui si svolgeranno elezioni amministrative e presidenziali. La vittoria mutilata del referendum costituisce un campanello d'allarme che Erdogan non ignorerà. Dall'altra parte l'opposizione, che con la recente "Marcia della Giustizia" ha dato un segnale di vitalità non indifferente.
Foto: YASIN AKGUL / AFP - Turchia, la marcia della Giustizia (Afp)

L'opposizione

Nata per chiedere giustizia dopo la condanna a 25 anni di carcere di un parlamentare Chp, Enis Berberoglu, giudicato colpevole per aver passato documenti relativi la sicurezza nazionale a giornalisti, la marcia si è presto tramutata in un fiume in piena di risentimento verso il presidente. Un'occasione che una enorme fetta del Paese non si è lasciata sfuggire, dopo un anno di divieti e paura.
Foto: CITIZENSIDE / CEM TEKKESINOGLU / CITIZENSIDE -  Turchia, la marcia della Giustizia (Afp)
Rimane impossibile che il grande successo di questa iniziativa influisca sulle scelte di Erdogan e del governo; così come è altamente improbabile che Kilicdaroglu possa rappresentare un'alternativa a Erdogan. Il desiderio di giustizia, la speranza in una Turchia diversa da quella vista in quest'anno, ha infatti riunito cittadini di diverse appartenenze politiche che difficilmente si affideranno ai repubblicani. A questi ultimi si rinfaccia di aver vitato a favore dell'abolizione dell'immunità parlamentare, un atto che ha dato il via libera alla carcerazione dei politici curdi. Solo quando le conseguenze di quella scelta sciagurata hanno toccato i repubblicani, Kilicdaroglu ha partorito l'idea della marcia.
La straordinaria partecipazione a quest'ultima in pratica non segna la nascita di un leader, ma ha dato forza e voce a chi non si arrende al trionfo totale di Erdogan.
Il panorama politico turco ne esce segnato, nuova linfa anima le forze di opposizione, che dopo il referendum hanno potuto constatare con i propri occhi che forse la Turchia può essere ancora un posto diverso, migliore, di quello che è diventato nell'anno dopo il golpe.

Economia di un golpe

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