I ricercatori britannici del Progetto Midas stavano tenendo sotto osservazione già da anni, con il sostegno della Nasa e delll'Agenzia Spaziale Europea, il sempre più rapido allargarsi degli oltre 200 chilometri di fenditura apertasi nella piattaforma. Fino alle inequivocabili immagini catturate dalla Nasa che hanno certificato il distacco definitivo. "Stavamo attendendo l'evento da mesi e siamo rimasti sorpresi da quanto tempo ci sia voluto perché la fenditura rompesse gli ultimi chilometri di ghiaccio superstiti", spiega il professor Adrian Luckman dell'Università di Swansea, tra i responsabili del Progetto Midas, "è difficile prevedere che fine farà l'iceberg. Potrebbe rimanere in un blocco solo ma più probabilmente si frantumerà. Parte del ghiaccio potrebbe rimanere nell'area per decenni, mentre altre porzioni potrebbero andare alla deriva a Nord, verso acque più calde".
L'area superstite della piattaforma Larsen C, che ha perso il 12% della sua superficie, ricrescerà ma la sua stabilità potrebbe essere compromessa per sempre. C'è il rischio che Larsen C possa seguire il destino della sua vicina, Larsen B, che si disintegrò nel 2002. E anche lì cominciò tutto con il distacco di un iceberg. "Sebbene si tratti di un fenomeno naturale e non siamo a conoscenza di nessun legame con il riscaldamento globale antropico, ciò pone la piattaforma di ghiaccio in una posizione molto vulnerabile", afferma invece Martin O' Leary, glaciologo dell'Università di Swansea, "il ghiaccio non si era mai ritirato così tanto da quando viene monitorato. Faremo molta attenzione ai segnali di futura instabilità del resto della piattaforma".
Nessun impatto sul livello del mare. Per ora
L'impatto sull'innalzamento del livello del mare sarà pressoché inesistente. Una piattaforma di ghiaccio galleggià sull'acqua ancora prima di staccarsi. Le piattaforme di ghiaccio funzionano però come la crosta di un dolce alla crema - è l'efficace esempio di The New Scientist - contengono il "ripieno" ed evitano che trabocchi. Una volta erosa la piattaforma, i ghiacciai non saranno più protetti dai venti o dalle acque sempre più calde e lo scioglimento inizierà ad interessare in maniera sempre più profonda anche la calotta polare, con conseguenze dirette, stavolta, sul livello del mare. La disgregazione delle piattaforme occidentali potrebbe essere quindi solo l'inizio di un disastro ambientale lento ma inesorabile.
"Abbiamo visto grandi cambiamenti negli ultimi anni, entro un secolo alcune piattaforme potrebbero essere scomparse per sempre", spiega il professor Fernando Paolo dell'Università della California, il cui team ha monitorato l'area dal 1992 al 2012 grazie ai dati combinati di tre satelliti. Per i primi nove anni di studio l'assottigliamento delle piattaforme era stato trascurabile, leggiamo ancora su The New Scientist, ma nella seconda metà del periodo di studio, dal 2003 al 2012, lo scioglimento delle piattaforme dell'Antartico occidentale è cresciuto del 70%, laddove l'area orientale appare più stabile. In media negli anni in esame si sono sciolti 310 chilometri cubi di piattaforme ogni anno. E nell'ultimo lustro si è assistito a un'ulteriore, rapida accelerazione. "L'aumento del ritmo dello scioglimento è allarmante", avverte Ben Galton-Fenzi, dell'Università della Tasmania. E i contorni dell'Antartico non sono già più da oggi quelli che eravamo abituati a vedere sulle mappe.