Il modello di rapporti tra Cina e Hong Kong, fondato sulla formula "un Paese, due sistemi", è stato "un successo" negli ultimi venti anni, secondo quanto dichiarato dal nuovo capo esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam Cheng Yuet-ngor, che prenderà le redini della regione amministrativa speciale a partire dal 1 luglio prossimo, ma soprattutto negli ultimi anni, a partire dal 2014, alcuni casi che hanno avuto un'eco a livello internazionale hanno mostrato un altro volto, meno piacevole per Pechino. Il rapporto con la Cina è stato messo in discussione a più riprese prima con le manifestazioni di Occupy Central, poi con la vicenda dei librai scomparsi, e, più di recente, con la questione dei giuramenti invalidati.
La riforma dell'elezione del capo esecutivo proposta da Pechino nel 2014 è stata il fattore scatenante delle manifestazioni di Occupy Central. I manifestanti hanno accolto la proposta come un'interferenza dell'Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, nella vita politica di Hong Kong: le sigle studentesche e pro-democratiche che hanno animato il movimento chiedevano il suffragio universale, invece della preselezione di alcuni candidati, sui quali i cittadini della regione amministrativa speciale si sarebbero dovuti esprimere. La riforma proposta dalla Cina non andò in porto, anche se per Pechino rimane il "terreno costituzionale" da cui ripartire per raggiungere il suffragio universale sull'isola, e il 26 marzo scorso si è votato con la modalità precedentemente in vigore, che prevede l'elezione della massima autorità dell'isola da parte di un comitato di 1200 membri. Occupy Central è stato il caso maggiore, ma non l'unico, in cui a Hong Kong si sono sollevati dubbi sulle sospette ingerenze di Pechino nella vita pubblica.
Occupy Central: 79 giorni di barricateOccupy Central è stata spesso definita la più grade manifestazione avvenuta su suolo cinese dopo le manifestazioni pro-democratiche di piazza Tian'anmen nella primavera del 1989. Durata 79 giorni, dal 28 settembre all'11 dicembre 2014, ha visto, al picco, oltre centomila studenti occupare il centro politico e finanziario dell'isola, che dall'area di Central si estende fino a Tamar, sede del governo locale, e ad Admiralty, dove ha sede l'Assemblea Legislativa, il mini-parlamento di Hong Kong.
Scoppiata per l'opposizione alla riforma proposta da Pechino per l'elezione del capo esecutivo dell'isola, Occupy Central, in seguito diventata Occupy Hong Kong, prese di mira soprattutto il capo esecutivo dell'isola, Leung Chun-ying, visto dai manifestanti come una marionetta nelle mani di Pechino. Dopo i primi, falliti, tentativi delle forze dell'ordine di disperdere la folla, la situazione si radicalizzò e il 1 ottobre gli organizzatori delle proteste diedero l'ultimatum al governo locale: dimissioni del capo esecutivo o escalation delle proteste. La notte tra il 2 e il 3 ottobre, Leung Chun-ying fece sapere che non avrebbe accolto le richieste degli studenti e dei movimenti pro-democratici. Fu l'inizio dello stallo politico e dell'isola e di una protesta che si trascinò per altri due mesi e mezzo, che ora vedeva nei movimenti studenteschi i principali animatori: nomi come Alex Chow, all'epoca segretario generale della Federazione degli Studenti, e Joshua Wong, giovanissimo leader degli studenti delle scuole superiori, divennero popolari in tutto il mondo.
A cercare il dialogo con le sigle studentesche fu l'allora numero due di Hong Kong, Carrie Lam. Nell'unico dibattito televisivo con i leader delle proteste, Lam cercò un compromesso con i movimenti che occupavano il centro cittadino, ormai barricato da settimane, ma non si arrivò ad alcun risultato concreto. Il movimento cominciò, progressivamente a perdere intensità e a perdere il sostegno della popolazione. La sera dell'11 dicembre, dopo 79 giorni di occupazione, vennero rimosse le ultime barricate, e il centro di Hong Kong riaprì al traffico. La protesta si placò, ma il rapporto tra l'isola e Pechino avrebbe continuato a essere difficile. La proposta di riforma cinese, però, non passò: nel giugno dell'anno successivo, alla seduta dell'Assemblea Legislativa per l'approvazione della proposta di Pechino, dopo dieci ore di dibattuto, non ci furono i voti necessari per l'approvazione, perché gli esponenti dei gruppi pro-Pechino avevano deciso di lasciare l'aula.Lo strano caso dei librai scomparsi
Negli ultimi giorni del 2015, fece notizia la scomparsa di un libraio di Hong Kong, Lee Bo (o Lui Por) general manager della casa editrice Mighty Current, che pubblicava libri di gossip politico, ritenuti sgraditi ai vertici politici di Pechino. Il suo caso era l'ultimo di cinque che si erano verificati separatamente a partire dall'ottobre precedente, riconducibili sempre alla stessa matrice. è la scomparsa di Lee Bo, però, ad avere aperto il caso. Il libraio, oltre a essere stato l'unico a scomparire proprio da Hong Kong, aveva anche un passaporto britannico: l'Ambasciata britannica a Pechino aveva chiesto alla Cina spiegazioni sulla sorte dell'uomo, la cui scomparsa aveva suscitato la "profonda preoccupazione" del capo esecutivo dell'isola, Leung Chun-ying.
La vicenda dei librai riaprì le polemiche sul rapporto tra Hong Kong e la Cina. I cinque, si scoprì nelle settimane successive, si trovavano in stato di detenzione in Cina: per i gruppi pro-democratici il caso costituiva una grave erosione della sovranità dell'isola.
Quattro dei cinque librai scomparsi tornarono a casa alla spicciolata, a partire dall'inizio di marzo 2016 (uno di loro, Gui Minhai, che ha anche un passaporto svedese, si trova tuttora in stato di detenzione). Il ritorno sul territorio di Hong Kong coincise, per tre di loro, con la richiesta di archiviare il caso relativo alla loro scomparsa. Ancora una volta fu il caso di Lee Bo quello che fece maggiore scalpore: in un'intervista concessa all'emittente televisiva Phoenix Tv, il libraio si disse pronto a rinunciare alla cittadinanza britannica e dichiarò di essere entrato volontariamente in Cina per partecipare ad alcune indagini, smentendo le voci di un suo rapimento. "Mi sono sempre sentito un cittadino di Hong Kong, un cittadino cinese", disse ai microfoni dell'emittente di Hong Kong. "Siccome è stata usata la mia cittadinanza per sensazionalizzare e rendere più complicata la situazione, sto decidendo di rinunciare alla cittadinanza britannica". Toni molto diversi furono quelli di un altro libraio, Lam Wing-kee. Al ritorno a Hong Kong denunciò, in una conferenza stampa, il trattamento subito dalle forze dell'ordine cinesi, fatto di interrogatori bendato e di violenza psicologica. "Se non parlassi, Hong Kong sarebbe senza speranza. Non è solo una questione personale", fu il suo commento. La fiducia in Hong Kong, già vacillante, sembra oggi definitivamente perduta: poche settimane fa, all'inizio di maggio, Lam annunciò la decisione di lasciare Hong Kong e di continuare l'attività di libraio a Taiwan.
I giuramenti invalidatiL'ultimo caso a riaprire il confronto tra Hong Kong e Pechino sul tema della sovranità territoriale sull'isola, fu quello dei giuramenti invalidati. Protagonisti della vicenda furono due neo-deputati di orientamento democratico e autonomista eletti alle scorse elezioni legislative del 4 settembre 2016: Sixtus "Baggio" Leung e Yau Wai-ching, dello schieramento Youngspiration, durante la cerimonia di giuramento alla costituzione di Hong Kong hanno usato parole offensive, fino all'insulto, nei confronti della Cina, e alla seduta inaugurale dell'Assemblea Legislativa portarono in aula striscioni inneggianti all'indipendenza dell'isola dalla Repubblica Popolare Cinese.
A intervenire nella disputa fu l'Assemblea Nazionale del Popolo, che il 7 novembre scorso dichiarò invalidi i giuramenti e squalificò i due deputati neo-eletti per non avere mantenuto un atteggiamento "solenne" al momento di prestare giuramento. Pochi giorni più tardi, il 15 novembre scorso, l'Alta Corte di Hong Kong decise la sospensione dei due parlamentari, perché avevano "rifiutato" di prestare giuramento e dovevano quindi essere sospesi dalle loro funzioni di parlamentari. La vicenda, però, era tornata a dividere Hong Kong tra favorevoli e contrari a Pechino, con manifestazioni di entrambi gli schieramenti davanti al palazzo dell'Assemblea Legislativa. A riportare la calma intervenne il parere dell'Anp, il primo dall'ingresso in vigore, nel 1997, della Legge Fondamentale che regola l'isola e il suo rapporto con la Cina.