Da tre mesi il Venezuela è precipitato in una crisi di cui non si intravede la fine. Tre mesi di proteste - e morti - quasi giornaliere, con beni di prima necessità sempre più scarsi, un’inflazione inarrestabile, la rabbia popolare che si gonfia e riempie le strade. L’opposizione al regime di Nicolas Maduro si allarga e lambisce le forze armate.
Oscar Rodriguez, agente della Brigata di azioni speciali, martedì ha sorvolato in elicottero il centro di Caracas, prima di lanciare quattro granate contro la Corte Suprema, senza fare vittime.
Le granate contro la Corte Suprema e la rivendicazione su Instagram
L’azione, rivendicata su Instagram, è frutto di “un’alleanza di funzionari militari, poliziotti e civili alla ricerca di un equilibrio e contro questo governo transitorio e criminale”. Il dispiegamento aereo, ha spiegato, ha “l’unico fine di restituire il potere al popolo democratico, e quindi rispettare e far rispettare le leggi, per ristabilire l'ordine costituzionale”. Richiamandosi agli articoli 330 e 350 della Costituzione, che autorizzano la rivolta contro autorità antidemocratiche, Rodriguez ha chiesto “le immediate dimissioni di Maduro” e “la convocazione di elezioni generali”.
Le tappe della crisi
- 29 marzo: La Corte Suprema annuncia a sorpresa la decisione di avocare a sè i poteri del Parlamento. L’Assemblea nazionale è controllata dalle forze dell’opposizione coalizzate nella Mesa de Unidad Demicratica (Mud) dopo la schiacciante vittoria alle elezioni nel dicembre 2015, le ultime convocate da Maduro prima di sospendere qualsiasi nuova consultazione. Per l’opposizione è un vero e proprio colpo di Stato: in un tweet, Leopoldo Lopez, leader in carcere dopo un processo-farsa, esorta il popolo a scendere in strada per “respingere la dittatura e salvare la democrazia”. Julio Borges, presidente dell’Assemblea nazionale, nel corso di una conferenza stampa, lancia un appello anche alle forze armate chiedendo loro di prendere posizione contro Maduro. Manifestazioni vengono organizzate in diverse zone del Paese.
- 2 aprile: La Corte Suprema fa marcia indietro. "Le decisioni della corte non hanno spogliato il Parlamento dei suoi poteri", dichiara il giudice Maikel Moreno, sottolineando che la Corte Suprema non dovrebbe essere in conflitto con altri rami del governo "perché è solo un arbitro". Moreno fa sapere che i magistrati hanno “soppresso” alcune parti della precedente decisione, compresa la disposizione che revoca l’immunità ai parlamentari.
- 7 aprile: Henrique Caprile, uno dei principali leader dell’opposizione, viene messo al bando dalla vita politica, non potrà assumere nessun incarico pubblico per 15 anni. Caprile, governatore dello Stato di Miranda, è accusato dall’ufficio del supervisore dei conti di “irregolarità amministrative”. Il leader dell’opposizione per due volte è stato candidato alla presidenza contro Maduro.
- 19 aprile: In occasione della Festa dell’Indipendenza, l’opposizione lancia “la madre di tutte le proteste”. La giornata si conclude con scontri violenti e due morti, entrambi studenti: Carlos Moreno di 17 anni, è ucciso a nord della capitale da un proiettile alla testa sparato dalle squadre della morte, i colectivos. La 23enne Paola Ramirez Gomez muore a San Cristobal in circostanze simili. Anche Maduro chiama a raccolta le forze chaviste, organizzando una contro-manifestazione, “la marcia delle marce” a sostegno del governo.
- 1 maggio: Maduro risponde alle crescenti proteste di piazza convocando una nuova ‘Assemblea costituente del popolo’ per riformare lo Stato e scrivere una nuova costituzione. Dell'Assemblea, convocata per il 30 luglio, faranno parte 500 membri, metà scelti da organizzazioni sociali e di settore, gli altri da leader delle comunità attraverso voto segreto e diretto. Una mossa denunciata dall'opposizione, che la vede come un chiaro tentativo golpista di rimanere al potere, evitando le elezioni, rinviate dal presidente da quasi due anni.
- 21 maggio: Nel 50esimo giorno di proteste contro Maduro, oltre 200mila persone sfilano in tutto il Paese, di cui 160mila a Caracas. I morti in quasi due mesi di manifestazioni quasi giornaliere sono almeno 47 e centinaia i feriti. L’opposizione continua a chiedere la convocazione di elezioni e respinge la nuova Assemblea costituente promossa dal presidente.
- 19 giugno: L’Organizzazione degli Stati Americani (Oas) si riunisce per discutere della crisi venezuelana ma non riesce a trovare una posizione comune al suo interno. Venti Paesi si schierano contro il progetto di riforma costituzionale di Maduro ma non riescono a raggiungere la maggioranza di due terzi necessari per far passare la risoluzione di condanna. Il Venezuela è il 35esimo membro dell’organizzazione ma ad aprile ha annunciato l’intenzione di uscirne. Il ministro degli Esteri venezuelano, Delcy Rodríguez interviene solamente per sottolineare che qualsiasi decisione verrà presa, non verrà recepita da Caracas. Viene lanciato un appello a continuare a cercare il dialogo, ma non viene fissata la data per un nuovo incontro.
- 21 giugno: Maduro sostituisce Delcy Rodriguez, nominando il suo vice, Samuel Moncada, nuovo ministro degli Esteri. Intanto Luisa Ortega Diaz, procuratore generale nominata dallo stesso Maduro tre anni fa, si oppone al procedimento di destituzione aperto nei suoi confronti davanti al Tribunale Supremo di Giustizia. Difendendosi, sottolinea che “il Venezuela corre oggi il maggior pericolo della sua storia repubblicana, e vedo un oscuro panorama di distruzione dello stato in Venezuela”. Il bilancio, continua, è di “74 morti, 1.413 feriti, 3.971 processati, 532 privati della libertà in 81 giorni di protesta”. Il 9 giugno la Ortega Diaz, a sorpresa, aveva presentato un ricorso di nullità contro la convocazione di una Assemblea costituente.