Chi sperava che l'elezione di Donald Trump avrebbe portato a una distensione dei rapporti tra Usa e Russia, in particolare sullo scacchiere mediorientale, è finora rimasto deluso. In particolare dopo l'attacco missilistico americano contro una base aerea dell'esercito siriano avvenuto lo scorso 7 aprile. Un'azione unilaterale che fruttò, per una volta, a Trump i plausi dei partner europei ma suscitò le ire del Cremlino, che ha nel presidente Bashar al-Assad uno dei suoi principali alleati. Il casus belli era stato il lancio di armi chimiche contro la popolazione civile avvenuto a Idlib, le cui responsabilità, tra scambi d'accuse reciproci, non sono mai state chiarite. Colpa dei ribelli, secondo i russi. Colpa di Assad, secondo la Casa Bianca. Che ora sostiene di aver "identificato potenziali preparativi per un nuovo attacco con armi chimiche" da parte del governo di Damasco, "che comporterebbe una strage di civili, compresi innocenti bambini, come è avvenuto lo scorso 4 aprile". Un attacco che Assad pagherebbe "a caro prezzo", tuona Washington. "Se vi saranno altri attacchi contro il popolo siriano sarà accusato Assad ma anche la Russia e l'Iran che lo sostengono nell'uccidere la propria gente", ha rincarato la dose l'ambasciatrice americana all'Onu, Nikki Haley.
La replica del Cremlino: "Minacce inaccettabili"
"Non abbiamo nessuna informazione in tal senso", ha replicato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, definendo "inaccettabili minacce di questo genere alle autorità legittime della Repubblica araba siriana". E a Mosca c'è già chi allude a una manovra degli Usa per giustificare un nuovo attacco contro le truppe di Assad. Come il primo vicepresidente della Commissione difesa e sicurezza del Consiglio federale, il Senato russo, Frants Klintsevich. "Gli Stati Uniti stanno preparando un nuovo attacco alle posizioni dell'esercito siriano, è chiaro", ha dichiarato Klintstevich all'agenzia statale Ria Novosti, "si sta preparando una nuova provocazione cinica e senza precedenti". A detta di Klintsevich, sarà proprio questa provocazione che "passerà come attacco chimico" e potrebbe essere seguito da un raid statunitense "contro chi è sull'orlo di una soluzione costruttiva della situazione".
Mattis rassicura: "Restiamo fuori dalla guerra civile"
Le mosse di Trump in politica estera rimangono molto difficili da interpretare. C'è chi ha visto nel muso duro mostrato contro Mosca in Siria la volontà del presidente, nella bufera per il cosiddetto 'Russiagate', mostrare ai suoi avversari che non esiste alcuna prossimità tra lui e Putin. In campagna elettorale il tycoon aveva definito la rimozione di Assad come una questione non più prioritaria. E anche dopo il blitz di aprile ha continuato a sostenere che le truppe statunitensi si trovano in Siria solo per combattere l'Isis. A rassicurare in merito ai pericoli di un'escalation che avrebbe esiti imprevedibili è ancora una volta il ministro della Difesa James Mattis, volto pragmatico dell'amministrazione Trump. 'Mad Dog' ha ribadito che gli Stati Uniti intendono stare alla larga dal conflitto tra fazioni in corso in Siria: "Non vogliamo, invece, essere coinvolti nella guerra civile", rispetto alla quale "siamo impegnati soltanto per favorire la fine attraverso la diplomazia". "Rispondiamo al fuoco soltanto se siamo attaccati, nel quadro della legittima difesa facciamo quanto necessario", ha proseguito Mattis a proposito del recente abbattimento di un jet di Damasco e di due droni di fabbricazione iraniana. Il momento della verità sarà l'offensiva su Raqqa, ultimo bastione di Daesh in Siria, sotto il fuoco incrociato dei curdi e della coalizione a guida Usa da una parte e dei soldati fedeli ad Assad, sostenuti dall'aviazione russa, dall'altra. "Bisogna muoversi con molta cautela, più siamo vicini e più le cose sono delicate", ammette Mattis. Nell'auspicio che la "linea rossa" aperta tra Washington e Mosca per evitare incidenti in Siria continui a funzionare.