Si chiamava David José Vallenilla, aveva 22 anni ed è la 75esima vittima delle proteste che da inizio aprile incendiano il Venezuela, con una media di quasi un morto al giorno. Il giovane è stato ucciso da colpi d’arma da fuoco al petto, sparati a distanza ravvicinata da un agente della Guardia nazionale da dietro la recinzione della base aerea di La Carlota, nella zona orientale di Caracas. Immagini amatoriali rilanciate da media locali mostrano il momento in cui viene colpito, durante gli scontri, e poi portato via dagli altri manifestanti.
Il ministro dell’Interno, individuato il sergente che ha sparato
Su Twitter, il ministro degli Interni Nestor Luis Reverol ha confermato l'uccisione del manifestante, sottolineando che “l’assedio ricorrente alla base militare di La Carlota oggi ha prodotto la sfortunata morte di uno dei partecipanti”. Assicurando che i responsabili saranno “portati di fronte alla giustizia”, Reverol ha annunciato che il sergente implicato è già stato individuato e che ha sparato con “un’arma non autorizzata”.
Il ministro dell’Interno ha definito “inaccettabile in qualsiasi parte del mondo un assedio a una base militare”, ricordando che bombe incendiarie sono state lanciate anche contro la scuola elementare presente all’interno del complesso. Al termine di un profluvio di tweet, Reverol ha ribadito l’appello del “governo bolivariano alla Mud (la coalizione che raggruppa le forze dell’opposizione, ndr) a bloccare i gruppi autori di morti violente e distruzione”.
Mancanza di beni primari, inflazione e stallo politico
Non accennano a placarsi le proteste che da quasi tre mesi paralizzano il Paese sudamericano, in uno dei più imponenti sforzi dell’opposizione per mandare a casa il presidente Nicolas Maduro, delfino e successore di Hugo Chavez, accusato di essere il responsabile della crisi gravissima in cui versa il Venezuela, che soffre di una forte carenza di beni primari e di un'inflazione altissima.
La vittoria della Mesa de Unidad Demicratica (Mud), la coalizione delle forze dell'opposizione, alle elezioni parlamentari del 2015 non ha avuto seguito dal momento che ogni altra consultazione popolare è stata bloccata. Maduro, sempre più alle strette, ha risposto alla crisi convocando una nuova ‘Assemblea costituente del popolo’ per riformare lo Stato e scrivere una nuova costituzione. Dell'Assemblea faranno parte 500 membri, metà scelti da organizzazioni sociali e di settore, gli altri da leader delle comunità attraverso voto segreto e diretto. Una mossa denunciata dall'opposizione, che la vede come un chiaro tentativo golpista di rimanere al potere, evitando le elezioni, rinviate dal presidente da quasi due anni.
Giovedì 22 giugno Maduro ha annunciato un rimpasto di governo con l’ingresso nell’esecutivo di tre generali, accusati di avere un ruolo nella repressione: Antonio Benavides, a capo della Guardia nazionale, Carlos Osorio, che diventa capo dello staff presidenziale, e Juan García Toussa, ministro dei Trasporti.
L’appello degli Usa all’azione e l’opposizione di Maduro agli imperialisti
Con il peggiorare della crisi è arrivato l’appello alla comunità internazionale dell’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Nikki Haley. “La tragica situazione in Venezuela chiama all’azione: la popolazione è alla fame mentre il governo calpesta la democrazia”. Immediata la risposta del presidente venezuelano, che ha accusato “gli imperialisti” di avere “una fatale ossessione per noi”. “Non permetteremo che ci trasformino in un martire o che il mondo crocifigga il Venezuela”, ha assicurato, dopo aver elogiato gli “eroici” sforzi delle forze dell’ordine per gestire i disordini e condannato l’opposizione per utilizzare adolescenti come scudi umani.
A sostegno della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Maduro ha mostrato una dichiarazione firmata da 57 Stati - tra cui Cina, Russia e Sudafrica – nella quale si rifiuta qualsiasi interferenza negli affari interni del Paese, lodando invece gli “sforzi lodevoli” per promuovere il dialogo portati avanti dai 12 membri dell’Unione delle Nazioni Sudamericane e dagli ex presidenti di Spagna, Panama e Repubblica Dominicana, insieme all’inviato speciale della Santa Sede.
E proprio dal Vaticano nei giorni scorsi è stata ribadita la necessità di un negoziato serio e sincero tra le parti. Come ha sottolineato monsignor Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, sin dall’inizio della crisi il Papa, il segretario di Stato vaticano e la Conferenza episcopale venezuelana, in diverse occasioni, hanno chiesto alle istituzioni e alle forze politiche, superando interessi di parte ed ideologie, di ascoltare la voce del popolo. La Santa Sede – ha sottolineato il presule - ha sempre esortato tutti i leader politici ad impegnarsi per porre fine alle violenze.