Nascere con la pelle ‘bianca’ in Africa a volte può essere una condanna a morte. Per gli albini, chiamati ‘figli della luna’ ma anche ‘figli del diavolo’, è così. Ostracizzati, trattati come bestie da tenere lontano, uomini donne e bambini soggetti a totale assenza di pigmentazione sono oggetto di superstizioni e diventano spesso vittime di rapimenti, torture e omicidi perché si ritiene che i loro organi abbiano una potenza magica.
Nel 2016 l’Onu aveva lanciato l’allarme estinzione in Malawi per 10mila albini se fosse continuata la barbara prassi di ucciderli per usare parti del loro corpo in pratiche di stregoneria.
Il rifugio sull’isola di Ukurewe
L’albinismo è diffuso in tutto il Continente africano. In particolare la Tanzania è fra i Paesi con il più alto tasso al mondo, con una persona su 1.500 affetta da questa anomalia congenita.
Per alcuni di loro esiste però un piccolo ‘Eden’, Ukurewe, un’isola nel Lago di Vittoria dove una comunità ha trovato rifugio e accoglie altri albini in fuga da violenze o abbandonati dalla famiglia in questa oasi di relativo isolamento che li protegge. Qui al momento ci vivono in 75 su una popolazione complessiva di 200mila: “Qui è sicuro, siamo circondati dall’acqua, nessuno può commettere un crimine e scappare facilmente”, ha raccontato Yakobo, pescivendolo albino che vive con tre moglie nella comunità. “In passato c’erano momenti in cui avevo paura ma adesso ringrazio Dio perché possiamo dormire la notte senza essere armati”.
Il progetto musicale di Ian Brennan
E’ proprio qui che l’attivista e produttore musicale Ian Brennan, insieme alla moglie, la regista e fotografa Marilena Delli, è arrivato qualche tempo fa per ascoltare di persona le loro storie, tenere dei workshop di canto e registrare dei pezzi. L’iniziativa è stata organizzata in collaborazione con l’Organizzazione non governativa ‘Standing Voice’, impegnata nella promozione dell’inclusione sociale degli albini in Tanzania e nell’Africa orientale. Per Harry Freeland, il suo fondatore, “sotto molti punti di vista Ukerewe è in prima linea nell’integrazione degli albini nella società. E penso che il fatto che sia un’isola giochi un grande ruolo nella mente delle persone, ma – ha avvertito – la realtà è un po’ più sfumata”.
Arrivato sull’isola per sentirli cantare, e registrarli, Brennan ha scoperto che molti di loro non l’avevano mai fatto prima. Gli era sempre stato negato. Un ostacolo che non ha impedito però a un gruppo di 18 albini, uomini e donne tra i 24 e i 57 anni, di mettere alla prova la loro voce. “Si è partiti da zero”, ha riconosciuto il produttore musicale. Da quella esperienza è nata il Tanzania Albinism Collective e un album “White African Power”, diffuso dalla Six Degree Record agli inizi di giugno in occasione della Giornata internazionale dell’Onu dedicata all’albinismo.
Dal ripudio alle uccisioni (fino alla felicità), 23 brani ‘raccontano’ il loro mondo
Sono 23 brani, per la maggior parte cantati in Swahili ma anche altri dialetti locali, che già dai titoli svelano le sofferenze subite dagli albini: ‘Maltrattato’, ‘Stigma ovunque’, ‘Viviamo in pericolo’, ‘Mai dimenticare le uccisioni’,
Come canta il 28enne Hamidu Didas, “i miei genitori mi hanno abbandonato per il mio aspetto. Hanno detto che non solo figlio loro, che appartengo ai bianchi”.
La chiusura dell’album, però, è affidata a ‘Felicità’, “una sorta di medley – si legge nella recensione di Distorsioni - in cui si alterna un canto femminile, e dopo un lungo silenzio, l'apparizione di una chitarra elettrica in stile Africa Orientale a ricordarci che c'è sempre una speranza da coltivare anche per gli ultimi”.
Un progetto che travalica le frontiere della Tanzania: il collettivo di musicisti è atteso a fine luglio al Festival Womad in Inghilterra, un palcoscenico per diffondere il loro messaggio, nella speranza che qualcosa cambi anche in patria, a migliaia di chilometri di distanza.
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