Il presidente Donald Trump ha mentito e "non c'è alcun dubbio che la Russia abbia interferito nelle elezioni americane". Nella sua deposizione sotto giuramento davanti alla commissione Intelligence del Senato, durata oltre due ore e mezza, l'ex direttore dell'Fbi, James Comey ha accusato Trump di averlo "quasi diffamato" per giustificare il suo licenziamento in tronco dello scorso 9 maggio. Il miliardario aveva dichiarato che Comey non godeva più della fiducia degli alti ranghi dell'Fbi, accusandolo di condurre "malamente" l'indagine sulle interferenze di Mosca nelle presidenziali Usa. "Tutte menzogne. Chiaro e semplice. Trump ha mentito su di me e sull'Fbi ma l'Fbi è e sarà sempre indipendente", ha tuonato Comey ribadendo che il presidente gli ha chiesto "lealtà" in cambio della sua conferma alla guida del Bureau e di "lasciar andare" l'indagine su Michael Flynn, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale costretto a dimettersi per aver negato, mentendo, di aver discusso di sanzioni contro la Russia con l'ambasciatore di Mosca a Washington, Serghei Kislyak.
La replica della Casa Bianca
"Di certo il presidente non è un bugiardo", è stata la replica della Casa Bianca. "Siamo sotto assedio ma vinceremo", è stato l'unico commento di Trump che si è sorprendentemente astenuto dal twittare durante l'audizione. Il rappresentante legale di Trump, Marc Kasowitz, ha invece emesso un comunicato che recita: "Il presidente non ha mai, formalmente o concretamente, ordinato o suggerito a Comey di fermare alcuna indagine"- Kasovitz ha inoltre smentito che Trump abbia chiesto lealtà all'ex capo del Bureau e ha affermato che ora è "assodato" che il presidente "non è indagato per collusione o per aver intralciato quella indagine".
Intralcio alla giustizia? Comey non si sbilancia
Comey si è limitato a raccontare la sua versione della storia, senza spingersi fino ad accusare il presidente di aver intralciato la giustizia. "Ho interpretato le sue parole come un'indicazione" e non come un ordine, ha precisato, "non spetta a me dire se c'è stato intralcio". Incalzato dai senatori, l'ex numero uno dell'Fbi, ha escluso "un ordine esplicito" di insabbiare l'inchiesta nel suo complesso. Ma ha smentito Trump su tutta la linea, definendo "molto significativo" il fatto che il presidente, per fare pressioni su Flynn, abbia fatto uscire altri rappresentanti dell'amministrazione durante il loro famoso incontro nello Studio Ovale il giorno di San Valentino. Quanto alle possibili registrazioni dei loro colloqui millantate da Trump, "se ci sono le diffonda", ha esortato Comey rivelando di aver passato lui alla stampa, tramite un amico professore della Columbia University, le note sui suoi incontri con il presidente, per sollecitare la nomina di uno speciale procuratore per supervisionare l'inchiesta, come poi avvenuto con l'arrivo di Rober Mueller, rispettato ex capo del Bureau. Comey ha dunque spiegato di aver consegnato tutti i suoi rapporti sugli incontri con Trump a Mueller. Quanto alle presunte interferenze di Mosca, Comey ha parlato di un "sforzo imponente" durante le elezioni ma si è detto "fiducioso" sul fatto che il voto non sia stato alterato.
Chiuso il dossier su Hillary Clinton
Comey ha detto che l'indagine su Hillary Clinton per lo scandalo delle email, ovvero per l'utilizzo di un server di posta privato dal parte dell'ex candidata democratica alla presidenza mentre era segretario di Stato, è stata chiusa. L'ex capo dell'Fbi aveva annunciato l'apertura di un dossier poco prima del voto. La decisione "mi ha causato molto dolore personale - ha rimarcato - ma guardando indietro credo che sia stato il modo migliore per proteggere la giustizia e l'Fbi".