Le colline di Sharak Haji Nabi, intorno a Kabul, sono tutte innevate. È febbraio. In Afghanistan le temperature sono rigide ma il freddo è l’ostacolo che fa meno paura al gruppo di ragazze che, per tutta la settimana, si stanno esercitando sotto la guida della loro maestra. Hanno tutte dai 14 ai 20 anni e si muovono con una precisione che stupisce. Una coordinazione che incanta.
“Per favore, uscite, mostrate le vostre capacità, e non permettete a nessuno di scegliere per voi”
Da qualche tempo hanno una grande passione e un enorme, difficilissimo, desiderio. La passione si chiama Wushu, un’arte di difesa antichissima, di origine cinese, che molti individuano come l’antesignana di tutte le arti marziali. Il desiderio, invece, è quello di superare tutti gli ostacoli e le violenze che le donne devono subire in un paese conservatore come l’Afghanistan. Un paese dove lo sport femminile non è certamente ben visto. Sì, è un eufemismo.
La prima allenatrice dell’Afghanistan
Sima Azimi ha 20 anni e da pochi mesi è tornata nel suo paese dopo essere scappata dalla guerra. In Iran, dove si è rifugiata con la famiglia, ha imparato tutti i segreti del Wushu. E la sua disciplina, il dolore iniziale, l’ha aiutata a capire quale fosse il suo sogno: “Vorrei aiutare le ragazze afghane a vivere la stessa vita delle loro coetanee in giro per il mondo”. Così, quasi ogni giorno, dietro le porte di una palestra di Kabul, Sima coordina quel gruppo di giovani ribelli. Tra tappeti morbidi, incitamenti e sorrisi. È la prima allenatrice di Wushu femminile dell’intero Afghanistan.
Quando la giornata lo permette, Sima guida le sue ragazze all’aperto. Questa volta con loro, c’è anche una macchina fotografica. Per tutta la giornata scatterà immagini e girerà video. Sono le prove che a Kabul, nonostante le convenzioni, c’è un gruppo di guerriere che sfida autorità e preconcetti. Quel materiale, in poche ore, fa il giro del mondo: “Con il Wushu non combattiamo altro che stupidi pregiudizi e vecchi stereotipi” dirà Sima all’Agence France-Presse. Anche perché ad iniziarla a quest’arte è stato un uomo. Suo padre che, durante la permanenza all’estero, l’ha incoraggiata a perfezionare quel percorso.
E poi c’è il professionismo. Sì, perché queste ragazze faticano ogni giorno per arrivare a un unico traguardo: “La mia ambizione è quella di vedere le mie studentesse partecipare a gare internazionali e vincere delle medaglie per il nostro Paese”. Difficile, ma non impossibile.
Cos’è il Wushu
Significa semplicemente “arte marziale”. Il nome, all’apparenza così banale, identifica una disciplina che ha un’origine millenaria. In passato era tramandata di generazione in generazione e il Sifu, il maestro, aveva un ruolo fondamentale all’interno di ogni villaggio. Le sue radici nobili hanno poi portato alla nascita di tutte quelle altre forme d’arte che conosciamo oggi.
Una palestra aperta a tutte le comunità
Sima è convinta che il Wushu potrebbe essere la chiave anche per aprire alle diverse realtà che vivono a Kabul. “Tutte le allieve appartengono alla comunità Hazara. Per me è un limite. Vorrei accogliere tante altre ragazze da tutta la città e da tutte le etnie”. La comunità Hazara è una minoranza sciita che stata a lungo perseguitata. Per questo, probabilmente, è la più aperta alle novità e la più pronta a superare il conservatorismo del paese. L’invito di Sima è sempre lo stesso: “Per favore, uscite, mostrate le vostre capacità, e non permettete a nessuno di scegliere per voi”. E lottate, sempre.
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