Nella sua prima intervista televisiva da quando è diventato presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha detto di ritenere che il waterboarding (tecnica di tortura che consiste nella simulazione di un annegamento durante un interrogatorio) sia utile. E ha dichiarato: “Dobbiamo combattere il fuoco con il fuoco”. Ha quindi citato le atrocità compiute dai militanti del cosiddetto Stato Islamico come giustificazione per il waterboarding.
“Ventiquattro ore fa ho parlato con persone al più alto livello dell'intelligence e ho chiesto loro: 'La tortura funziona?' E la risposta è stata 'Sì, assolutamente'", ha riferito Trump al network statunitense Abc. “Assolutamente, penso che funzioni”, ha insistito. E ha aggiunto che affiderà la valutazione finale sulla questione al direttore della Cia, Mike Pompeo, e al capo del Pentagono, il generale Mattis. Che comunque si sono detti entrambi non favorevoli alla reintroduzione di questa tecnica.
A livello di opinione pubblica, il 45 per cento degli statunitensi è d'accordo che la tortura sia giustificata in alcuni casi per proteggere gli americani, mentre il 53 per cento non lo è.
Il sondaggio di Amnesty
Anche l'opinione mondiale è divisa sul ricorso all'uso della tortura per proteggere i cittadini (dal terrorismo e da altre minacce). Amnesty International, nel maggio del 2014, in occasione della campagna globale 'Stop alla tortura', ha commissionato un sondaggio all’istituto di ricerche GlobeScan per conoscere l’attitudine dell’opinione pubblica rispetto alla tortura in 21 Paesi del mondo. Il risultato è allarmante:
- il 44 per cento del campione pensa che, se fosse arrestato nel suo paese, rischierebbe di essere torturato
- l’82 per cento ritiene che dovrebbero esserci leggi rigorose contro la tortura
- più di un terzo (il 36 per cento) crede che la tortura potrebbe essere giustificata in determinate circostanze
Nel 2015, secondo Amnesty, sono 150 i Paesi che hanno ratificato la Convenzione contro la tortura ma, nonostante ciò, abusi e maltrattamenti sono ancora in uso anche in alcuni degli Stati che formalmente li hanno aboliti
Dalla parte della tortura
“I risultati sono sorprendenti", fu il commento di Caroline Holme, l'allora direttrice di GlobeScan, "quasi la metà delle persone che abbiamo contattato si sente vulnerabile rispetto alla tortura. La vasta maggioranza ritiene che dovrebbero esserci norme chiare contro la tortura, ma più di un terzo ancora pensa che in certi casi la tortura possa essere usata. Complessivamente, abbiamo riscontrato un forte sostegno globale in favore di azioni che prevengano la tortura”.
Nei Paesi che hanno preso sul serio gli impegni assunti con la ratifica della Convenzione contro la tortura, questa è diminuita grazie all’introduzione di un reato specifico nelle leggi nazionali, all’apertura dei centri di detenzione a organismi indipendenti di monitoraggio e alla registrazione video degli interrogatori.
La bocciatura degli analisti
La stragrande maggioranza degli analisti ritiene che la tortura non sia uno strumento affidabile per ottenere informazioni, anche solo per il fatto che chi la subisce non può fornire risposte lucide. Come già detto, lo stesso John Mattis ha riferito a Trump di non credere nell’efficacia di questi metodi (che sono vietati dal diritto internazionale).
L'Italia e il reato che non c'è
Quello della tortura è un tema di cui si torna a discutere spesso anche in Italia (che non inserita nel sondaggio di Amnesty), dove la tortura non compare nel codice penale. Nell’ambito della campagna, l'organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, ha scritto che "continuerà a sollecitare l’Italia a colmare il ritardo di oltre 25 anni - tanti ne sono trascorsi dalla ratifica della Convenzione contro la tortura (era il 1988) - e a introdurre finalmente il reato di tortura nel codice penale".
La Camera dei deputati, nella seduta del 9 aprile 2015 ha approvato con modifiche la proposta di legge C. 2168, già approvata dal Senato, che introduce nel codice penale il reato di tortura, espressamente vietata in alcuni atti internazionali. La proposta è, quindi, tornata all'esame del Senato.
Il 19 luglio del 2016 il Senato ha sospeso l’esame del disegno di legge. A deciderlo è stata la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama su richiesta di Forza Italia, Lega Nord e Conservatori e Riformisti. L'analisi del Fatto quotidiano.