di Nicola Graziani
Roma - Quando morì Mao Tse Dong, scrisse Tiziano Terzani, in 11 milioni si misero sull'attenti per l'ultimo saluto al Grande Timoniere che, ancor prima di essere segretario del Partito Comunista Cinese, era un compagno. Nel 1989 Den Xiao Ping, nell'annunciare la svolta liberista, si affacciò dal rostro della Grande Sala del Popolo e disse: "Compagni, l'importante non è che il gatto sia bianco o nero, ma che prenda il topo". I compagni applaudirono e si misero al lavoro.
Con il tempo però il termine 'compagno' è caduto in disuso: negli ultimi anni sapeva troppo di rosso, in una terra in cui tutti i gatti sono grigi. Ma adesso il partito lo rivuole indietro, ed ha aperto lo scontro con la nutrita e non sempre rispettata comunità omosessuale. Perché il vocabolario, come la natura, non vuole il vuoto e se una parola cade in disuso in un ambiente, ce n'é sempre un altro pronto ad impossessarsene.
Non a caso la storia comincia nel 1989, all'indomani di Piazza Tiananmen. In quell'anno il commediografo Edward Lam, in una Hong Kong ancora sotto tutela britannica, propose di utilizzare l'appellativo 'compagno' in sostituzione dei termini spesso dispregiativi comunemente utilizzati per indicare gli omosessuali.
I primi ad adottare con grande convinzione il neologismo furono gli abitanti di Taiwan, dove dal 1949 governa il Kuomimtang: notoriamente poco aperto al comunismo, anche quando sposa il liberismo. Ma l'idea in realtà piace anche ai diretti interessati, cui ispira un senso di solidarietà e fratellanza di fronte ad un mondo esterno che isola e discrimina. In fondo, era questo il motivo per cui i comunisti lo avevano adottato fin dai tempi di Lenin e di Mao.
Solo che ora il Partito lo reclama, e pretende il copyright. Tutta colpa della campagna per la rieducazione dei suoi quadri medio-bassi: i più ignoranti, i più corrotti. Ecco allora che viene pubblicata una direttiva, un documento dal titolo "Norme di vita politica all'interno del partito elle condizioni correnti", dove si danno nuove disposizioni in materia di lotta alla corruzione, si impone di copiare a mano la costituzione a quanti sono accusati di lassismo e prevaricazione, ed infine si sancisce l'abolizione dei titoli onorifici e cattedratici nelle conversazioni private. Tutti compagni, quelli che oggi sono gli 88 milioni di iscritti al partito: "Per ribadire le relazioni democratiche ed egualitarie tra i compagni all'interno del partito, i membri del partito stesso devono chiamarsi compagni tra di loro".
Sembra Catch 22, ma è la realtà del linguaggio burocratico, e comunque il messaggio è chiaro. Tanto è vero che, una volta pubblicato sui giornali, si è scatenata la rivolta sulla Rete, sotto forma di commenti postati in fondo all'articolo. Talmente tanti da costringere a sospenderne la pubblicazione. E' rimasto a parlare solo Weibo, il twitter del Partito Comunista Cinese 2.0, e naturalmente se l'è presa con la comunità omosessuale perché "ha sporcato l'appellativo di compagno". Un appellativo con cui in 11 milioni, sull'attenti, salutarono molto tempo fa il feretro del Grande Timoniere.