di Paolo Dodero
Roma - Prosegue per il secondo giorno consecutivo la massiccia offensiva lanciata dal governo dell'Iraq verso Mosul, ultima roccaforte dello Stato Islamico esistente sul proprio territorio. Già si cominciano però a profilare, da un lato, un certo rallentamento nell'avanzata e, dall'altro, le prime crepe tra alleati anti-Isis: non solo nell'insolito sodalizio tra forze regolari irachene e peshmerga curdi, ma persino nei ranghi della coalizione internazionale guidata dagli Usa contro il califfato nero.
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ACCUSE RECIPROCHE TRA GOVERNATIVI E CURDI
In ambito interno, infatti, governativi e combattenti del Kurdistan si muovono in maniera in teoria coordinata lungo le due principali linee del fronte, che rispettivamente si dipanano a sud e a est della città contesa. Se però, a detta dello stesso Pentagono, gli iracheni "fin dalla prima giornata di combattimenti sono riusciti a conseguire gli obiettivi prestabiliti", e addirittura "ad anticipare in parte le scadenze previste" dai piani militari, i peshmerga sembrano invece costretti adesso a segnare il passo: forse per bonificare del tutto i villaggi espugnati ieri, ma soprattutto per l'accanita resistenza opposta da sacche di jihadisti, che hanno rivendicato almeno una dozzina di attentati suicidi contro il nemico e molti altri ne starebbero preparando. Così i comandi delle truppe regolari hanno accusato i guerriglieri curdi di non aver rispettato la tempistica assegnata, e di obbligarli quindi ad aspettare prima di riprendere in pieno le operazioni; mentre i peshmerga hanno denunciato la presunta inosservanza dei patti da parte degli alleati, cui a loro dire toccherebbe consolidare le posizioni conquistate prima di poter realizzare ulteriori progressi.
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LA TURCHIA RIVENDICA UN MAGGIORE COINVOLGIMENTO
Quanto alla dimensione internazionale dell'attacco, oggi ad alzare la voce e' stata per l'ennesima volta la Turchia, che pure ufficialmente si limita a contribuire solo alle operazioni in Siria. Il premier Binali Yildirim ha innanzi tutto rivendicato la partecipazione di caccia di Ankara alle incursioni aeree alleate intorno a Mosul, di copertura rispetto all'avanzata curdo-irachena al suolo, dicendosi pronto a farli intervenire ancora. Poi il presidente Recep Tayyip Erdogan in persona ha lamentato l'esclusione del proprio Paese dall'offensiva di terra, ricordando le "radici storiche e geografiche delle responsabilità turche" nei confronti di quell'area, "gli interessi dei nostri fratelli sunniti e turcomanni nella regione", e reclamando infine un pieno coinvolgimento nelle decisioni: quelle belliche in corso, e quelle negoziali che si prenderanno in seguito.
S'INTENSIFICANO LE INIZIATIVE DIPLOMATICHE
La crescente tensione provocata dalla posta in gioco sta del resto provocando un'impennata nelle iniziative diplomatiche. Oltre al vertice dei ministri della Difesa di tredici Paesi della coalizione, già convocato per martedì prossimo a Parigi, sempre nella capitale francese per dopodomani ne e' stato organizzato un altro sul futuro di Mosul, allargato a una ventina di governi: ma non all'Iran, hanno tenuto a precisare gli anfitrioni, malgrado la sua influenza politica e lo stesso coinvolgimento diretto negli scontri attraverso il sostegno accordato ai paramilitari sciiti, che partecipano anch'essi all'attacco su Mosul, sebbene con il divieto di entrarvi.
L'ISIS COMBATTE CON LE UNGHIE E CON I DENTI
La situazione frattanto e' altresì complicata dal fatto che gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi non stanno certo a guardare: se da subito avevano eretto cataste di pneumatici in ogni angolo del centro urbano e le avevano poi incendiate, così da creare fitte cortine fumogene che ostacolassero i bombardamenti aerei dell'alleanza sotto comando americano; oggi per ottenere il medesimo obiettivo, ma su scala piu' ampia, sono passati ad appiccare il fuoco a trincee e fossati colmi di petrolio, o direttamente ai pozzi di estrazione. Hanno costruito barricate in cemento e calcestruzzo, hanno minato le strade e gli edifici, e ove possibile si sono nascosti nell'intento di attirare gli avversari in campo aperto. Del resto non hanno nulla da perdere: anche perche' sanno bene che una volta caduta Mosul toccherebbe a Raqqa, loro auto-proclamata capitale in Siria. Gli strateghi iracheni ritenevano anzi che in quella direzione avrebbero ripiegato, per preparare la difesa, molti piu' miliziani dell'Isis di quanti in realtà si stiano riposizionando. Domani a Berlino, comunque, a margine di un summit sull'Ucraina si discuterà di Aleppo tra Angela Merkel, Francois Hollande e addirittura Vladimir Putin: essendoci la Siria sul tappeto, non e' da escludere che si cominci ad accennare pure a Raqqa. (AGI)