Roma - Dopo il caso Apple, si apre un nuovo fronte tra le autorità degli stati nazionali e i colossi della Silicon Valley sull'equilibrio tra privacy e sicurezza. La polizia brasiliana ha arrestato oggi il vice presidente di Facebook per l'America Latina, Diego Dzodan, dopo che la compagnia aveva negato alla magistratura l'accesso ai dati di alcuni utenti di Whatsapp (la popolare applicazione di messaggistica controllata dall'azienda californiana) coinvolti in un'inchiesta riservata su un grosso giro di narcotraffico.
La vicenda è quindi assai simile a quella che ha coinvolto Apple negli Stati Uniti, con il gruppo di Cupertino che si era rifiutato di rispettare l'ordine di un tribunale che le aveva imposti di fornire all'Fbi i dati dell'iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino. Secondo quanto riporta il quotidiano brasiliano 'O Globo', il mandato di cattura è stato emesso dalla corte penale di Lagarto, nello Stato del Sergipe, ed eseguita direttamente dalla divisione narcotici della polizia federale. Dzodan, numero uno di Facebook per l'America centrale e meridionale, è stato arrestato poco dopo aver lasciato la sua abitazione nel quartiere di Itaim Bibi, uno dei più esclusivi di San Paolo, per recarsi in ufficio. Il manager argentino è ora detenuto nel carcere di San Paolo in seguito al "ripetuto mancato rispetto di ingiunzioni giudiziare".
Il giudice Marcel Maia Montalvao aveva infatti ordinato per ben tre volte all'azienda di fornirgli i dati dei presunti narcotrafficanti, ricevendo sempre un diniego, anche quando, dopo il terzo rifiuto di collaborare, la corte aveva imposto a Facebook una multa di un milione di real. Siamo amareggiati per questa decisione estrema e sproporzionata", ha affermato un portavoce di Facebook, ritenendo la misura esagerata in quanto è detenuto un dirigente della casa madre "nell'ambito di un caso che riguarda Whatsapp, che opera separatamente da Facebook". Il gruppo di Palo Alto ha poi affermato che "è sempre stato e sarà" disponibile a collaborare con le autorità brasiliane.
Lo scontro è il terzo in un anno che vede confrontarsi le autorità brasiliane e l'azienda proprietaria del celebre social network. In tutti e tre i casi l'azienda aveva negato agli inquirenti i dati personali di utenti di Whatsapp nonostante le ripetute richieste. Lo scorso 16 dicembre l'applicazione era stata bloccata per 48 ore in tutto il paese dopo che Facebook si era rifiutata più volte di fornire alla magistratura i dati di alcuni individui considerati coinvolti in un cartello criminale.
La sospensione del servizio aveva mandato su tutte le furie milioni di utenti ed era stata presto annullata da un altro tribunale. Nel febbraio del 2015, invece, Facebook aveva addirittura negato a un giudice l'accesso ai dati personali di alcuni indagati per pedofilia, nell'ambito di un'inchiesta che durava da ben due anni. Anche in quel caso il conseguente blocco era stato annullato in appello.
Di natura ben diversa, invece, il contenzioso avvenuto nel 2012 con Google, il cui direttore generale per il Brasile, Fabio Josè Silva Coelho, era stato arrestato per non aver rispettato l'ordine di un giudice che aveva chiesto di rimuovere da Youtube alcuni video contenenti attacchi al candidato prefetto del Partido Progressista, Alcides Bernal. Il dirigente, in quel caso, tornò però in libertà nel giro di poche ore. Intanto, mentre la giurisprudenza fatica a tenere il passo velocissimo di internet, Apple segna un punto a suo favore. La sentenza di una corte di New York ha infatti dato ragione a Cupertino in un caso che la vedeva opposta, questa volta, alla Dea, la quale domandava altresì lo sblocco dell'iPhone di un trafficante di droga. Il giudice aveva stabilito che l'azienda aveva il diritto di non rispettare la richiesta in quanto una legge che avrebbe dovuto regolare la materia non era stata approvata dal Congresso. (AGI)